MOGGI STORY/9
LA PRIMA STAGIONE DI MOGGI AL NAPOLI È FALLIMENTARE.
IL PROBLEMA È ANCORA E SEMPRE MARADONA.
MA LUCIANONE NON PERDE IL VIZIETTO DI SERVIRE PIÙ PADRONI,
CIOÈ DI FARSI SOPRATTUTTO GLI AFFARI SUOI…
Tratto da “Lucky Luciano – Intrighi, maneggi e scandali del padrone del calcio italiano Luciano Moggi”, Ala Sinistra e Mezzala Destra, Kaos Edizioni (Un libro scritto in joint-venture da tre giornalisti sportivi, che hanno preferito l’anonimato, e da Marco Travaglio)
L’inopinata débâcle del Napoli
– culmine di un rapido e inspiegabile crollo della squadra –
suscita polemiche a non finire. Voci, sospetti, illazioni:
si parla di partite “combinate” e di scudetto “venduto”.
Poi, qualche anno dopo, un’inchiesta giudiziaria per
traffico di droga fornirà alcuni elementi che potrebbero spiegare l’inspiegabile.
A tutta prima, i giocatori tentano di fare dell’allenatore il capro espiatorio del clamoroso crollo partenopeo.
La società, invece, addossa tutte le colpe a quattro giocatori (Bagni, Ferrario, Giordano e Garella), nessuno dei quali – quando si dice il caso! – è fra quelli che sono nelle grazie di Lucianone.
La squadra, che da tempo mal sopporta quel galantuomo dal forte carattere che è Ottavio Bianchi, diffonde un incredibile comunicato contro l’allenatore: una rivolta collettiva mai vista prima nel mondo del calcio.
Il direttore sportivo Moggi – che dovrebbe fare da trait d’union fra la squadra e la società –
tace.
In realtà Lucianone, sotto sotto, sta dalla parte dei giocatori, mentre il presidente Ferlaino sta con Bianchi.
Così la società partenopea si limita a definire quella gravissima iniziativa «inopportuna», a dirsene «rammaricata» e a sollecitare «una serena riflessione».
Una presa di posizione ponziopilatesca voluta da Moggi, dal momento che il presidente «ribadisce la fiducia nell’allenatore Bianchi».
In perfetto stile andreottiano, Lucianone tenta di far quadrare il cerchio mediando tra Ferlaino che vuole tenere Bianchi, e la squadra che lo vuole cacciare:
lo fa attraverso una messinscena a base di colloqui a quattr’occhi con tutti i giocatori, ricevuti uno a uno nel suo studio presso la sede del Napoli calcio, come se fosse un presidente della Repubblica alle prese con le consultazioni.
E mentre Moggi “consulta” i giocatori, la sede sociale è presidiata dalla polizia: i tifosi, schierati con Bianchi e inferociti per la perdita dello scudetto e per l’incredibile comunicato, inveiscono contro i giocatori – in particolare contro i quattro capri espiatori – al grido di «venduti», «traditori», «pagliacci», «ladri».
Alla fine prevale la linea di Ferlaino, e l’allenatore resta al suo posto. Pur «con qualche perplessità» per una situazione che rimane «difficile e pericolosa»,
Bianchi accetta di rimanere, ma precisa: «È necessario che ci sia chiarezza da parte di tutte le componenti della società Napoli... Ognuno deve fare il suo mestiere, senza tentare di fare il mestiere degli altri» – forse le orecchie di Lucianone fischiano...
Quanto all’improvviso crollo della squadra, Bianchi dice di non essere «in grado di trovare una spiegazione, mi domando solo come sia possibile che una squadra come questa possa perdere 4 partite di seguito».
Infine precisa che accetta di restare al Napoli solo per «il rapporto molto buono che ho col presidente Ferlaino».
Il direttore sportivo non viene mai nominato, come non esistesse.
Invece Lucianone esiste, eccome, e si dedica ai quattro agnelli sacrificali, additati come responsabili del grande pasticcio e gettati in pasto alla tifoseria.
La prima stagione di Moggi al Napoli è dunque fallimentare.
La squadra partenopea è stata eliminata al primo turno dalla Coppa dei campioni, e ha perso Coppa Italia e scudetto in maniera indecorosa.
Lucianone viene accusato di non aver saputo governare la situazione interna alla squadra, proprio lui che si vanta di “fare spogliatoio”.
In quello spogliatoio napoletano anarcoide e rissoso, con calciatori che sembrano giocare soprattutto contro l’allenatore, Moggi non ha saputo combinare niente.
Colui che avrebbe dovuto rappresentare il “valore aggiunto” fuoricampo del Napoli si è rivelato un incapace.
Per Lucianone è un brutto passo falso, un vero smacco per la sua immagine, anche se lui fa finta di niente, spaparanzato nella sua splendida villa-vista-mare a Posillipo, con codazzo di amici potenti sulla spiaggia di Capri.
Il problema cruciale del Napoli è ancora e sempre Maradona, perché l’asso argentino è sinonimo di gioie e dolori, vittorie e grattacapi, incassi e grane.
Diego si allena quando gli pare, talvolta rifiuta perfino di seguire la squadra in trasferta.
Fra capricci e polemiche, fa il bello e il cattivo tempo, in campo e soprattutto fuori. Senza orari e senza regole, si dà alla pazza gioia, tra donne e cocaina.
Ma il suo enorme talento calcistico resta indispensabile per il Napoli e per Napoli.
Nessuno è in grado di governare le sue bizze, men che meno chi dovrebbe farlo, cioè Moggi.
Quando la stella del fenomeno argentino si sarà spenta, Lucianone dirà:
«Non ho mai saputo niente di quello che faceva Maradona fuori dal campo»
– salvo poi dichiarare l’esatto contrario:
«Se non lo avessi saputo, non sarei stato un buon dirigente... sapevo, ma avevo possibilità di intervento limitatissime. Fuori dal campo, Maradona non era gestibile».
Dunque, com’è ovvio, Moggi sa tutto di quello che Maradona combina negli spogliatoi e soprattutto nella vita privata: anche perché Lucianone è culo e camicia con molti giocatori napoletani, con i quali manterrà rapporti di grande confidenza anche in futuro (esempi: Massimo Crippa, Massimo Mauro, Ciro Ferrara). Ma fa
finta di niente, perché Maradona serve anche a lui.
Pecunia non olet.
Il fatto è che lo spogliatoio partenopeo è simile a un malfamato nightclub, dove circolano cocaina e sesso a volontà. Vizi che porteranno Maradona sotto inchiesta sia penale che sportiva e lo costringeranno a espatriare prima che le cose si mettano davvero male.
Ma Lucianone asseconda il campione argentino in tutti i suoi voleri e capricci.
Trova perfino il modo di sistemare suo fratello minore, Hugo, all’Ascoli dell’amico Rozzi, solo perché Maradona si è messo in testa di avere un altro campione in famiglia; in realtà “Huguito”, come lo chiama qualche buontempone, è un fior di brocco, già scartato da squadre di mezzo mondo prima di approdare in Italia.
Nel bel mezzo della bolgia napoletana,
Moggi non perde il vizietto di servire più padroni, cioè di farsi soprattutto gli affari suoi.
Anche da Napoli, dunque, continua a fare da “consulente” dietro le quinte per le società “amiche”: come
il Taranto e la Salernitana, che dalla serie C salgono in B.
Del resto, per Lucianone il Napoli è una cosa, e la sua personale carriera affaristica un’altra.
Legarsi a tutti senza sposare nessuno è uno dei suoi motti preferiti.
Nell’estate del
1988 Moggi tenta un primo riscatto d’immagine attraverso la sua specialità,
il calciomercato, dove ormai è considerato “The Boss”.
Alla fine, «ancora una volta la Borsa del calcio si inchina davanti a Luciano Moggi: con due mosse dell’ultima ora, il general manager del Napoli è riuscito ad aggiudicarsi il granata
Crippa e il brasiliano
Alemão... Due “botti” arrivati per ultimi, quelli che hanno fatto più rumore, e come sempre a provocarli è stato lui, il despota del calciomercato.
Nell’ultima notte di mercato, Moggi è volato con un aerotaxi fino a Madrid, si è incontrato con il presidente dell’Atlético Madrid Jesús Gil y Gil, e ha comprato Alemão per circa 4 miliardi e mezzo». Come sempre, i “botti” di Lucianone – Alemão e Crippa – sono seguiti da lunghi strascichi polemici.
Firmato il contratto per Alemão, il presidente dell’Atlético Madrid definisce Moggi «un despota con atteggiamenti da Humphrey Bogart nel ruolo di un gangster... Lui è venuto a Madrid con l’idea che qui siamo tutti coglioni».
Il direttore sportivo della Roma – interessato a comprare il granata Crippa, che però il Torino aveva definito “incedibile”, salvo cederlo subito dopo al Napoli di Lucianone – commenta: «È stata confermata la coerenza e la moralità di certi personaggi».
Concluso da par suo il calciomercato, Moggi nell’agosto 1988 è a Madonna di Campiglio, nel ritiro precampionato del suo Napoli.
E lì sfodera il pugno di ferro: non con Maradona o con i giocatori amici suoi, ma con il difensore Moreno Ferrario.
Già incluso nel quartetto dei capri espiatori della rivolta anti-Bianchi e dello scudetto regalato al Milan, e quindi escluso dalla preparazione estiva, Ferrario viene deferito dalla società partenopea alla Commissione disciplinare della Lega calcio per avere rilasciato un’intervista polemica.
A quel punto il giocatore chiede la rescissione del contratto che lo lega al Napoli. Il 23 settembre la Commissione disciplinare respinge le richieste di sospensione del giocatore avanzate dal Napoli, e condanna la società partenopea a risarcirgli i danni.
Lucianone monta su tutte le furie: «È un verdetto assurdo, una decisione senza precedenti che ci lascia molto sorpresi... Vorrà dire che in futuro, in situazioni del genere, daremo medaglie al giocatore anziché prendere altre decisioni». Poi annuncia un ricorso al Coni, un ricorso al Tar, e per non sbagliare anche una causa giudiziaria in sede civile.
Un’altra delle quattro vittime sacrificali di Moggi è Salvatore Bagni, escluso dalla “rosa” e parcheggiato in attesa di essere ceduto. Dopo mesi di tira-e-molla, a novembre Moggi vende Bagni all’Avellino, benché fino all’ultimo sembrasse intenzionato a dirottarlo al Torino. La dirigenza granata – messa di fronte al fatto compiuto – attacca Lucianone. Il giocatore rivela:
«Mentre Moggi parlava in Tv di un mio passaggio al Torino, sapeva che io lo stavo aspettando in un albergo di Caserta per firmare il contratto con l’Avellino».
Alla fine di gennaio 1989 l’ex attaccante del Napoli Bruno Giordano – terzo capro espiatorio ceduto da Moggi all’Ascoli nell’estate 1988 – rievoca la stagione precedente, quella dello scudetto regalato al Milan: «Hanno dato alla gente quattro nomi da accusare. La verità è che qualcuno [Moggi, ndr] aveva già deciso di liberarsi di noi a fine campionato...
Ci hanno fatto firmare una dichiarazione [con su scritto] che non volevamo scendere in campo, ma non era vero: in cambio ci hanno promesso un aiuto, ci avrebbero trovato una sistemazione».
E a proposito delle “consultazioni” moggiane: «Moggi ha convocato i “suoi” giocatori al mattino, e ha dato un appuntamento a noi quattro nel pomeriggio. Abbiamo trovato la piazza piena di tifosi inferociti, e io ho detto a Moggi che quei trucchetti non li doveva fare. I tifosi hanno individuato in noi dei colpevoli, ma credo che poi abbiano capito la verità». E ancora:
«Poco tempo fa, dopo la sconfitta del Napoli all’Olimpico, ho incontrato Moggi e gli ho chiesto: “Chi l’ha venduta, stavolta, la partita?”»;
secondo l’ex attaccante del Napoli, di quel periodo «molte cose non si possono dire».
Le dichiarazioni di Giordano inducono la Federazione ad aprire un’inchiesta. I giocatori del Napoli, per protesta, proclamano il “silenzio stampa”. Lucianone fa finta di niente.
9 - continua
Dagospia 23 Maggio 2006