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Un po' di teatro: L'AVARO

Ultimo Aggiornamento: 03/03/2005 02:36
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03/03/2005 02:36




L'AVARO
di Molière

regia di Gabriele Lavia
con Gabriele Lavia, Andy Luotto, Marco Cavicchioli, Manuela Maletta, Luca Fagioli, Lorenzo Lavia, Francesco Bonomo, Clotilde Sabatino, Emanuela Guaiana, Giancarlo Condè


RECENSIONE (tratta da www.drammaturgia.it)


L'Avaro è uno scintillante esempio di sapienza teatrale e la prova di come la drammaturgia possegga risorse tali da rendere ancora nuova e coinvolgente anche una trama antichissima come quella del vecchio tirchio derubato del suo buon senso dal troppo amore per il denaro. Lavia – regista e attore con maggiore dimestichezza con i toni scuri e comunque lontani dalla commedia – riesce a ripetere quel "miracolo" teatrale compiuto cinque secoli fa da Molière e confeziona uno spettacolo curato in ogni particolare e assolutamente irresistibile.

La scena è l'interno – visto da una prospettiva sbieca però – di un edificio barocco, segnato da crepe e pitturato in grigio polveroso. Vi sono, poi, il relitto di una nave, il letto in posizione sopraelevata di Arpagone e objects trouvés di ogni genere. Tutto apparentemente ricoperto di polvere e forse inutilizzabile così come la lisa giacca nera del padrone di casa. Attorno a lui un'umanità vitale e, benchè in modi anche molto diversi, desiderosa di godere quanto l'esistenza le può riservare: i figli di Arpagone, Elisa (Manuela Maletta), qui un po' punk, e Cleante (Lorenzo Lavia), che compare quale un'originale sintesi fra una moderna rockstar e un dandy ottocentesco; ma anche la mezzana Frosina (Clotilde Sabatino) e l'astuto servo Saetta (Massimo Cavicchioli). Gli schieramenti in scena sono chiari e affatto equilibrati: da una parte lui, l'avaro, condannato dalla sua stessa avidità non soltanto al disamore e al disprezzo di quanti gli sono accanto, ma in primo luogo a un'angoscia che ne succhia lentamente i liquidi vitali; e dall'altra tutti gli altri, avidi unicamente di vita.

Un'opposizione che Lavia chiarisce in brevi scene di collegamento, prive di parole ma riempite di un eloquentissimo uso delle luci: le piccole lampade portate dai personaggi che, in processione, circondano Arpagone addormentato e tracciano i confini della prigione in cui egli stesso si è rinchiuso. Questo è uno dei momenti di più alta poesia in uno spettacolo che possiede però il ritmo perfetto e incalzante della commedia, senza lasciare respiro e avvolgendo lo spettatore in una invisibile rete di genuino divertimento. Lavia stesso sa mescolare l'angosciata malinconia del suo personaggio con la sua innegabile comicità e offre un'interpretazione senza pecche, curatissima e ognora variata, con la gestualità accentuata, i movimenti ora nevroticamente accellerati ora stanchi e rallentati, la voce ora suadente ora istericamente arrabbiata. Una performance accanto alla quale non stridono le prove fornite dagli altri interpreti, tutte di altissimo livello.



Qualcuno lo ha visto? Secondo me era molto bello...

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