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Riforma Gelmini: dilaga protesta di studenti, famiglie e Proff.

Ultimo Aggiornamento: 22/04/2011 01:07
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02/09/2009 17:42

Ci si mette anche il codacons

SCUOLA: IL CODACONS DENUNCIA IL MINISTRO GELMINI E I DIRETTORI REGIONALI SCOLASTICI A 104 PROCURE DELLA REPUBBLICA!!
PER INTERRUZIONE E TURBATIVA DI PUBBLICO SERVIZIO E VIOLAZIONE DELLE NORME SULLA SICUREZZA DELLE CLASSI CHE SUPERANO I 25 ALUNNI
E PARTE IL PIU' GRANDE RICORSO COLLETTIVO CONTRO I TAGLI DEGLI ORGANICI: LE ADESIONI IN TUTTA ITALIA DI 20.000 PRECARI CHE RISCHIANO DI RESTARE SENZA POSTO DOPO ANNI DI LAVORO





Nelle classi in cui si inseriranno più di 25 alunni per sopperire alla mancanza di docenti "tagliati' dalla Gelmini si commette un grave reato: si mette a repentaglio la sicurezza dei ragazzi e si violano le norme di igiene pubblica sul limite minimo di spazio che un'aula deve avere.
Le norme richiamate - sulla base delle quali il Codacons chiede non solo di avviare l'azione penale contro il Ministro e i Direttori Regionali del MIURS, ma anche di sequestrare le classi illegali - sono, tra le altre, l'art. 5 del D.M. 26.08.1992 (recante "Norme di prevenzione incendi per l'edilizia scolastica') che afferma: "il massimo affollamento ipotizzabile è fissato in 26 persone per aula (considerati 25 studenti e 1 insegnante - ndr)', e l'art. 12 della legge n. 820 del 1971 che dice: "Il numero massimo di alunni che possono essere affidati ad un solo insegnante non può essere superiore a 25 anche ai fini delle attività integrative e degli insegnamenti speciali di cui all'art. 1'.
E' dal 1971 che è previsto un limite massimo di alunni per ogni classe - spiega il Presidente Codacons, Carlo Rienzi - Prevedere adesso classi di 30 o 40 alunni è una vera e propria follia che fa correre inutili rischi a studenti e insegnanti!!
L'esposto è stato presentato oggi nelle 104 Procure della Repubblica italiane e ora sia i docenti precari danneggiati dai tagli che le famiglie i cui figli sono messi a rischio potranno costituirsi parte civile. E quando entrerà in vigore la class action le famiglie potranno agire rappresentate dal Codacons per i danni subiti.
Intanto il malcontento dei precari sfocia anche in un mega ricorso collettivo di almeno 20.000 docenti che aderiranno all'azione legale organizzata dal Codacons davanti al TAR del Lazio. Per aderire - spiega l'associazione - occorre inviare una mail all'indirizzo ricorsoprecari@codacons.it , seguire le istruzioni che verranno inviate direttamente sulla mail, e iscriversi al Codacons. Le adesioni si raccolgono anche pressi le sedi dell'associazione di Bologna, Catania, Firenze, Catanzaro e Salerno.
Nel ricorso che sarà patrocinato dal Presidente del Codacons, avv. Carlo Rienzi - che già nel 1990 fece immettere in ruolo 40.000 precari con una sentenza della Corte Costituzionale - si contesteranno le disposizioni applicative del MIURS e le norme sugli organici che hanno portato a dequalificare il servizio pubblico di insegnamento creando classi di 35-40 alunni dove si potrà apprendere ben poco.
Un secondo ricorso dei precari non abilitati chiede di estendere anche a loro il privilegio concesso agli abilitati di presentare le domande di incarico in più di una provincia.

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03/09/2009 08:32

I precari protestano. Ma quanti sono esattamente?


I sindacati confederali stimano che in seguito all’applicazione del Piano programmatico del Ministro Gelmini (settembre 2008), nel quale erano iscritte le linee guida della successiva azione governativa, concernenti: la revisione degli ordinamenti scolastici; la riorganizzazione della rete scolastica e la razionalizzazione delle risorse umane delle scuole, sarà bloccata la riassunzione di circa 25/30.000 unità di personale tra insegnanti a tempo determinato e personale Ata (bidelli, segretarie e tecnici scolastici). I docenti supplenti che, dopo anni di incarichi, resteranno a casa senza stipendio sarebbero quasi 18.000.

Una prima osservazione riguarda il fatto che siamo su livelli decisamente più bassi rispetto ai dati diffusi dalla Cgil qualche mese fa che facevano riferimento alle difficoltà di 130.000 docenti precari e 75.000 precari non docenti impegnati nella scuola.

Ad ogni modo, sempre di persone che vedono allontanarsi la possibilità di un posto fisso si tratta. Ma da quali tagli risulterebbe il numero cui si è accennato?

Da una combinazione tra rideterminazione dell’organico e riconduzione di tutte le cattedre di scuola secondaria a 18 ore, come è previsto dal Contratto di lavoro sottoscritto anche dai sindacati.

Lo Schema di regolamento relativo alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo di istruzione (“Revisione dell’assetto ordinamentale, organizzativo e didattico della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione”) è stato approvato dal Consiglio dei Ministri in data 27.2.2009. La nuova normativa introduce, a partire dall’anno scolastico che sta per cominciare (2009-2010), il modello dell’insegnante unico secondo le differenti articolazioni dell’orario scolastico settimanale a 24, 27, e sino a 30 ore, nei limiti delle risorse dell’organico assegnato, e conserva il modello delle 40 ore, corrispondente al tempo pieno.

Risulta cancellato il modulo e il sistema delle compresenze: una manovra che prima o poi doveva essere attuata, sebbene comporti non poche difficoltà per le scuole a rientrare in questo schema. I sindacati parlarono di un effetto corrispondente a circa 15.740 docenti in meno nella scuola primaria per il 2009-2010.

Il Piano programmatico del Ministro Gelmini prevedeva una riduzione dell’organico di scuola primaria con il solo orario obbligatorio di 10.000 unità, a cui devono esserne aggiunte 4.000, risultanti dalla riduzione degli insegnanti specialisti lingua inglese. Ci sono però anche gli esuberi, pari a circa 6.000 soprannumerari di ruolo, che dovrebbero garantire un’estensione del tempo pieno.

Quanto ai docenti di scuola secondaria di I grado, il contenimento fissato dal Piano era di circa 17.000 unità per il 2009-2010 (tra rideterminazione dell’organico e riconduzione di tutte le cattedre a 18 ore). Il numero proclamato dai sindacati era di 16/17.000 unità.

Ora, come s’è accennato, le cifre complessive si sono ulteriormente ridotte, segno di una capacità delle scuole, se vogliono, di concepire la propria autonomia anche come difesa degli organici esistenti.

Il precariato è comunque la drammatica conseguenza di un sistema di reclutamento, a cui per anni l’amministrazione centrale con il complice sostegno dei sindacati (confederali in testa) ha ancorato il rapporto tra domanda e offerta di lavoro, che si potrebbe definire per lento scivolamento dalle graduatorie degli abilitati al posto a tempo indeterminato (i concorsi si sono diradati), per cui nella scuola si è avuto accesso sulla base della composizione delle cattedre (arte nella quale i sindacati sono maestri) più che sui numeri effettivi degli alunni.

La cosa ha egregiamente funzionato in un periodo di vacche grasse; ora che la scuola in parte ha cessato di essere un bacino di occupazione funziona molto meno.

Bisogna ricordare, ad ogni modo, che la cifra media di alunni per insegnante (circa 10.7 in Italia; tra i 12 e i 15 in Europa) fu posta sotto i riflettori di una politica scolastica che mirava alla razionalizzazione degli organici dal “Quaderno bianco sulla scuola”, pubblicato nel settembre 2007 a cura dei ministri dell’Istruzione e dell’Economia del governo Prodi: Fioroni e Padoa-Schioppa. In questo documento si precisava che «l’elemento dominante della maggior spesa pubblica per studente della scuola italiana si conferma il rapporto insegnanti/studenti». Si auspicava, dunque, la «diminuzione di un punto nel rapporto insegnanti/studenti (…) che determina una riduzione di circa 70mila unità nel fabbisogno insegnanti».

Le attuali misure di riduzione del personale sono l’applicazione degli stessi criteri (per certi aspetti imprescindibili da un qualunque discorso nuovo sulla professione docente) e tra l’altro messe in pratica non tramite la forma del “licenziamento”, come sbandierato talvolta da formazioni politico/sindacali molto legate alle vecchie logiche assistenzialistiche, bensì utilizzando i pensionamenti e il blocco parziale del turn-over.

L’analisi della situazione del precariato non sarebbe completa se non si tenesse conto, inoltre, di due dati di fatto molto importanti.

Il primo riguarda le assunzioni a tempo indeterminato di personale scolastico che, in attesa del completo prosciugamento delle graduatorie provinciali degli abilitati, continuano ad essere operative per alcune classi di concorso. Per l’a.s. 2009-2010 la previsione è di immettere su posti fissi 8.000 unità di personale docente, più altre 8.000 Ata.

La seconda novità è offerta dai “contratti di disponibilità”, di cui è imminente la sottoscrizione a cura di Ministero dell’Istruzione, Ministero del Lavoro, Inps e Regioni per estendere al personale precario della scuola (personale docente ed Ata), gli ammortizzatori sociali consistenti nel sostegno al reddito nella misura dell’80% della retribuzione per la durata di 8 mesi, relativamente ai periodi non lavorati. La condizione per accedere al sostegno al reddito, sarebbe quella di vantare 52 settimane lavorative nell’anno in corso più 2 settimane nel biennio precedente.

Si tratta in totale di numeri significativi che potrebbero comportare una soluzione almeno parziale della difficile situazione in cui versano tanti lavoratori della scuola.

Da tutto questo si deduce che per affrontare seriamente il problema del precariato occorre, sulla base di una comprensione storica del fenomeno che impedisce di attribuire a vanvera colpe e responsabilità, far convergere energie e responsabilità su una strategia che oltre a prendere in considerazione l’oggi, mira a impedire che il fenomeno, domani, si riproduca all’infinito.



ilsussidiario.net

Ho voluto evidenziare in neretto quel passaggio per sottolineare come ancora una volta, con la triste uscita di ieri di Franceschini a Benevento, il nostro paese (volutamente con la P minuscola) si condtraddistingue per una politica tutta proiettata alla ricerca del facile consenso ... [SM=x44504]

Io continuo a dire "Forza Gelmini" sperando che il ministro abbia la forza di portare avanti una riforma necessaria quanto importante per cercare di cambiare la cultura di questo stato e dei suoi cittadini in chiave un po' più liberale ...

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09/09/2009 11:54

L'Ocse denuncia: in Italia gli insegnanti sono lasciati soli

C’è una cosa che balza subito agli occhi: in Italia gli insegnanti sono "lasciati da soli", senza nessuno che valuti le loro prestazioni o il loro rendimento. Ad affermarlo è il rapporto Education at a glance 2009 presentato all'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse), secondo il quale il 55% degli insegnanti italiani non riceve alcun tipo di riscontro, positivo o negativo, in riferimento al lavoro svolto.
Accanto a questo dato negativo per quanto riguarda l'Italia, nel nostro Paese, secondo l'Ocse, si registra un positivo incremento di quasi il 6% degli studenti che raggiungono la laurea o ottengono un diploma di specializzazione, in linea con gli altri paesi dell'Ocse. Il rapporto, aggiornato al 2007, mostra in generale un aumento della popolazione istruita nei paesi membri, soprattutto per quanto riguarda coloro che ottengono un diploma di laurea o una specializzazione. Tra il 1998 e il 2006 il numero delle persone laureate o in possesso di un diploma di specializzazione é cresciuto nei paesi membri del 4,5% all'anno. In Irlanda, Polonia, Portogallo, Spagna e Turchia la crescita ha raggiunto il 7% all'anno, mentre in Canada, Giappone e Corea, il rapporto é di uno su due.
Un altro dato positivo riguarda il numero delle persone che abbandonano gli studi prima di arrivare all'università: un numero in diminuzione tranne che in Germania, Giappone, Messico, Polonia, Turchia e negli Stati Uniti dove le persone con un basso livello di istruzione sono in aumento. Anche l'istruzione primaria è in netta crescita, in particolare in Svezia. In media anche le iscrizioni alla scuola primaria sono passate dal 40% dei bambini tra 3 e 4 anni del 1998 al 71% del 2007.
Per quanto riguarda, invece, la disoccupazione, il rapporto mostra un calo delle assunzioni soprattutto tra coloro che non hanno raggiunto il diploma di laurea. Nei paesi membri il 40% delle persone con un basso livello di istruzione si ritrova spesso senza impiego per periodi più o meno lunghi. "Nonostante la crisi economica, la domanda per un'istruzione universitaria è più alta che mai - sottolinea l'Ocse - Le istituzioni devono comprendere che gli investimenti nel capitale umano possono contribuire alla ripresa economica". Secondo l'Ocse le persone che completano gli studi secondari o l'università mostrano maggiore interesse nella politica, hanno una maggiore fiducia nei confronti degli altri e godono persino di una migliore salute.
In Italia c'é una situazione a luci e ombre, tra scuola e università, secondo quando ha detto all'ANSA al margine della presentazione del rapporto, Andreas Schleicher. capo della divisione indicatori dell'istruzione e analisi dell'Ocse. "Nella scuola primaria, ad esempio - ha affermato - l'Italia ha molti insegnanti che sono poco qualificati. Ma se guardiamo all'università, c'é un dato molto positivo: quello dei guadagni "extra" dei laureati, che sono i secondi al mondo, dopo gli Stati Uniti". Se negli Usa un laureato maschio guadagna, rispetto a un non laureato, 367.000 dollari in più nell'arco della vita lavorativa, in Italia, infatti, ne guadagna poco più che 322.000, indica l'Ocse nella sua tabella sugli earning advantages (vantaggi nei guadagni).

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25/09/2009 11:15

Perché protesta l'insegnante: la scuola alle prese con le nuove regole

di Giunio Luzzatto (lavoce.info)

Dietro le proteste degli insegnanti precari ci sono due problematiche diverse. Quella di coloro che sono già abilitati e iscritti nelle graduatorie a esaurimento. E quella di chi invece aspira all'abilitazione. Il progetto del ministero non dà risposte né agli uni né agli altri. Perché non dice niente sui nuovi sistemi di reclutamento. E perché sulla formazione dei futuri docenti si è scelta una via opposta a quella seguita nel resto d'Europa. Quanto alla programmazione del fabbisogno di insegnanti, lo contraddice l'ammissione al tirocinio di soprannumerari.
Con l'inizio dell'anno scolastico, la situazione degli insegnanti e dei loro posti di lavoro è tornata al centro dell'attenzione. È perciò opportuno fare un po’ di chiarezza, almeno per quanto riguarda gli insegnanti secondari, di primo e secondo grado, la categoria che registra le tensioni più forti.
Le problematiche sono due ma strettamente connesse fra loro: gli abilitati già inseriti nelle “graduatorie a esaurimento” e coloro che invece aspirano all'abilitazione.
Chi ha l'abilitazione
Le graduatorie di coloro che sono in possesso dell’abilitazione, conseguita all’interno dei vecchi concorsi oppure tramite le scuole di specializzazione universitarie (Ssis), sono finalizzate sia alle immissioni in ruolo sia al conferimento di incarichi temporanei.
Se il problema del precariato è ormai così ampio, ciò deriva dal fatto che i posti di insegnamento sono stati ricoperti da personale di ruolo in misura del tutto insufficiente. Come risulta dal volume, ricchissimo di dati aggiornati, “La scuola statale: sintesi dei dati - Anno scolastico 2008-2009”, tra gli oltre 470mila insegnanti in servizio per l’intero anno 2008-2009, il 19 per cento (circa 90mila) aveva solo il contratto annuale; tale percentuale è disomogenea sul territorio: raggiunge il 23 per cento nel Nord-Est, mentre è al 14,8 per cento nel Sud.
Il governo Prodi aveva bloccato le graduatorie, ponendole a esaurimento, e aveva avviato una massiccia operazione di copertura in ruolo, anziché per incarico, che progressivamente avrebbe consentito di riassorbirle. Contestualmente, aveva annunciato - ma poi non attuato - un nuovo sistema di assunzioni che permettesse di connettere formazione e reclutamento. Il governo attuale ha limitato a poche migliaia le assunzioni dalle graduatorie e, riducendo l’orario della didattica, ha diminuito i posti da coprire. Molti insegnanti con abilitazione, e un incarico annuale nei passati anni scolastici, si sono dunque ritrovati a settembre 2009 senza cattedra. Ecco la ragione delle proteste, anche clamorose, di questi giorni, che il governo ha poi cercato di tamponare con palliativi come l'indennità di disoccupazione, le supplenze brevi senza continuità didattica ed eventuali progetti regionali, che ignorano il problema della qualità del servizio e sono mortificanti anche per i pochi che potranno usufruirne.
Chi aspira all'abilitazione
Il governo Berlusconi ha anche chiuso le Ssis, per il momento senza sostituirle con alcunché: chi ha conseguito la laurea specialistica o magistrale dopo il settembre 2007 non può perciò prepararsi a insegnare. La chiusura delle Ssis è ufficialmente motivata con il blocco delle graduatorie: inutile produrre nuovi abilitati, se non hanno poi modo di accedere all’insegnamento. Logica avrebbe allora voluto che si affrontasse prima di tutto il problema delle nuove modalità di reclutamento.
Il progetto presentato nei giorni scorsi, con gran battage mediatico, dalla ministra Maria Stella Gelmini ignora invece proprio questo aspetto e si concentra solo della formazione: chi seguirà il nuovo percorso abilitante non sa dunque se e come potrà essere assunto, neppure a termine.
Ma anche nel merito della formazione, il progetto è ben diverso dalla immagine che ne è stata data.
Si è detto che il percorso prevede, dopo la laurea in una disciplina (tre anni), una laurea magistrale (due anni) ad hoc, orientata alle tematiche didattiche sia generali (scienze socio-psico-pedagogiche) sia mirate (problematiche dell’apprendimento e dell’insegnamento della specifica disciplina); segue poi un anno detto di “tirocinio formativo attivo” (Tfa), sempre gestito dall’università, ma con una forte presenza di interventi diretti nelle scuole.
Quello che non si è detto è che le lauree magistrali ad hoc sono di là da venire, come scritto nelle Norme transitorie: fino al 2012-13 esiste solo il Tfa, al quale si accederà con la magistrale ordinaria. Ma questa (giustamente, per le finalità che ha) tende ad approfondire aspetti particolari della materia, non le tematiche più rilevanti per l’insegnamento. Andava certo ridotto il percorso, eccessivamente lungo, di sette anni, ma prevederne cinque per i contenuti disciplinari e comprimere in un anno tutto ciò che ha a che fare con la professione docente è l’opposto di quanto si fa in Europa, ove viene ampliato lo spazio per le competenze “trasversali” dell’insegnante (ai sette anni si è arrivati perché la Ssis biennale, originariamente connessa alla laurea quadriennale, si è poi sovrapposta al “3+2”).
Per l’efficacia del suo rapporto con allievi ben diversi da quelli di cinquant’anni fa (e anche solo di dieci) è fondamentale che il docente sappia individuare le strategie comunicative adatte per motivare all’apprendimento lo specifico gruppo-classe, riesca a utilizzare e a far utilizzare pienamente le opportunità offerte dalle tecnologie didattiche, sia capace di preparare gli studenti a servirsi criticamente delle reti informative e a lavorare in gruppo. È falso inoltre che il progetto del ministero preveda una adeguata programmazione quantitativa. L’ammissione al Tfa, è scritto, avverrà per contingenti legati al fabbisogno di insegnanti: per definirlo correttamente occorrerebbe però aver deciso le nuove procedure di reclutamento e, in particolare, quanti posti destinare al riassorbimento delle graduatorie e quanti ai nuovi abilitati.
Un tempo esisteva il “doppio canale”, con il 50 per cento dei posti per l’assunzione dalle liste e il 50 per cento a concorso per le nuove leve. Solo una soluzione analoga, con l’effettiva copertura di tutti i posti e magari con una quota inizialmente più alta per chi è in graduatorie molto numerose, può evitare una drammatica “guerra tra poveri” di cui già si vedono preoccupanti segnali. Nel silenzio, le assunzioni avverranno solo dalle graduatorie, con l’esclusione di qualunque nuovo laureato per molti anni (probabilmente moltissimi, in ragione della riduzione degli organici). E il Tfaavrà prodotto una nuova lista di attesa.
Plateale, inoltre, è la negazione della programmazione che si ha con l’ammissione al Tfa, in soprannumero rispetto ai posti banditi, dei laureati non abilitati che abbiano svolto 360 giorni di supplenza, dei dottori di ricerca, degli assegnisti universitari: si formeranno decine di migliaia di abilitati in più rispetto alle esigenze, comunque queste siano state definite. Viene detto anche che i soprannumerari continueranno a svolgere le loro attività lavorative; ilTfa è una specie di scuola serale.
E poi si parla di rivalutazione del merito, di qualità, dello spazio da dare ai giovani.

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25/09/2009 15:55

Concorsi su misura

Nelle università italiane aumentano i bandi a tempo determinato per garantire alle facoltà maggiore libertà di manovra
FLAVIA AMABILE

Passano gli anni, passano i ministri, cambiano le leggi, ma nelle università tutto resta uguale. Prosperano i concorsi personalizzati, ritagliati su misura del vincitore e il più possibile clandestini. L’Apri, l’associazione dei precari della ricerca italiani, è andata a dare uno sguardo ai concorsi banditi da quando è partita la riforma dell’università e ne ha tratto un quadro sconfortante.

Era lo scorso novembre quando la Gelmini diede il via libera alla riforma dell'università. Promise tuoni, lampi e fulmini contro i baroni e massima trasparenza nei concorsi. Poi il decreto passò in Parlamento e lì fu modificato da un emendamento della stessa maggioranza (del senatore Valditara del Pdl). Da quel momento si decise che le nuove regole si applicano, solo ai concorsi a tempo indeterminato mentre per quelli a tempo determinato tutto resta uguale.

Risultato? Al contrario di quello che voleva la Gelmini, da dicembre in poi le università hanno bandito concorsi per 226 posti a tempo determinato e 78 a tempo indeterminato come spiega uno studio del'Apri, l'Associazione dei precari della ricerca italiani.

Il vantaggio è evidente. Con i concorsi a tempo determinato le commissioni sono tutte interne. Molto spesso ci sono prove scritte e orali, esattamente come accadeva nelle amate e mai dimenticate vecchie regole. Addirittura a Milano Bicocca e a Catania le pubblicazioni (quello che dovrebbe essere il maggior elemento di valutazione) valgono solo per 10/100. Insomma, concorsi sempre più blindati.

Altro vantaggio: nei concorsi a tempo indeterminato è previsto un avviso da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, a partire dal quale chi è interessato a partecipare ha almeno 30 giorni di tempo.

I concorsi a tempo determinato, invece, non devono rispettare particolari obblighi di pubblicità. La legge non prescrive alle università di inserire l’avviso in Gazzetta Ufficiale, nè il Ministero cura una banca dati con l'avviso di ogni concorso. Cosicchè un giovane ricercatore dovrebbe ogni giorno farsi il giro di tutti i siti Internet delle università italiane per essere aggiornato.

E dovrebbe fare anche piuttosto in fretta perché i bandi scadono 20 giorni dopo la data di protocollazione. Tre settimane che si riducono a due, in realtà, perché passa qualche giorno dalla protocollazione al momento in cui il bando viene reso disponibile nei siti on-line degli atenei. Due settimane che in alcuni casi, come l’Università Telematica UniNettuno, si riducono a soli sette giorni.

Questo spiega un altro dato: in media, ad ogni concorso fanno domanda solo 2,5 candidati, ha calcolato l’Apri. Non sono persone che si presentano al concorso, è semplicemente il numero di domande. Ci sono poi casi limite come il Politecnico di Milano che finora ha bandito 15 posti da ricercatore a tempo determinato e 3 a tempo indeterminato. Per ognuno dei cinque posti banditi a tempo determinato consultabili pubblicamente ha fatto domanda una sola persona, presumibilmente il vincitore. Lo stesso alla Sapienza a Roma: nei quattro posti banditi consultabili, una sola domanda ognuno. C'è poi il caso dell'Università di Roma Campus Biomedico che ha bandito un concorso di stile «natalizio»: bando affisso all'albo ufficiale dell'Università il 23 dicembre, scadenza il 7 gennaio, quando insomma tutti gli studenti sono in vacanza e l'ateneo è chiuso.

Ultimo vantaggio: soltanto i concorsi a tempo determinato permettono di avere titoli dati da programmi di ricerca. E, i titoli sono tutti molto specializzati. Praticamente tagliati su misura.


ps: l'articolo di oggi è il seguito di un'inchiesta di oltre due settimane fa sui trucchi nei concorsi per ricercatore. Quell'inchiesta aveva fatto molto rumore negli atenei. Aveva risposto il rettore del Politecnico di Milano, quello dell'Università di Camerino. Nessuno aveva potuto contestare alcunché.
Qualcuno, anzi, ha dovuto fare marcia indietro. I ricercatori dell'Apri avevano anche inviato un fax all'Università di Sassari che prevedeva un tetto di 3 pubblicazioni per chi partecipava ai concorsi della Facoltà di Scienze. Due giorni fa, sulla Gazzetta Ufficiale, è apparsa la rettifica al bando: il tetto non è di 3 pubblicazioni ma di 8. La Facoltà si giustifica parlando di 'mero errore materiale'. Sarà. Intanto, il limite è un po' meno punitivo.

pps: quell'articolo di oltre due settimane fa partiva da una denuncia che l'Apri aveva inviato alla commissione europea proprio a proposito del tetto massimo sulle pubblicazioni, del tutto inesistente in Ue dove vale il principio che più è alto il numero dei titolo, maggiore è la valutazione del candidato. Ieri l'Apri ha ricevuto la risposta dell'Ue, una lettera del commissario europeo Potocnik scritta in diplomatichese comunitario. Condanna le procedure italiane ma allarga le braccia: l'Ue non ha poteri di intervento su Roma.

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12/11/2009 11:59

SCUOLA: GELMINI, UN TETTO DEL 30% DI IMMIGRATI IN CLASSE

"In alcuni classi la presenza degli immigrati sfiora il 100 per 100. Queste non sono le condizioni adatte per favorire l'integrazione"
Il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, in un'intervista telefonica a Maurizio Belpietro su Canale 5, sottolinea la necessita' di consentire agli studenti immigrati di integrarsi con gli italiani. "Noi abbiamo annunciato un provvedimento di cui stiamo studiando gli aspetti tecnici che prevedera' un tetto del 30 per cento per favorire le condizioni migliori per un'integrazione anche degli alunni stranieri - spiega -. Poi avremo anche una nuova materia che credo sia significativa, l'educazione alla cittadinanza e costituzione. Ossia favorire sia da parte dei nostri ragazzi, sia degli studenti immigrati la conoscenza dei principi basilari del vivere civile". L'azione del governo, spiega poi la Gelmini, e' rivolta anche a garantire la "continuita' didattica" nelle scuole 'tamponando' la diaspora dei circa 200mila professori che ogni anno cambiano cattedra. "Viene consentita una mobilita' eccessiva che va a danno degli studenti e della qualita' della scuola - spiega il ministro -. Per questo noi stiamo ragionando per fare in modo che la continuita' didattica sia possibile e che, quindi, sia data la facolta' ai dirigenti scolastici di mantenere gli insegnanti nella stessa classe, nello stesso istituto almeno per un biennio. Migliorerebbe di molto la qualita' della didattica nelle nostre scuole - conclude - ed e' un obiettivo che noi ci prefiggiamo".

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La Gelmini più che un ministro dello Stato è un fabbricante di consenso privato con i soldi pubblici


Pubblicato il 29 giu 2009 in Riceviamo e Pubblichiamo, Scuola |
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di Angelo Conforti

Non ho neanche fatto in tempo a scrivere che il ministro della Pubblica Istruzione vuole abolire la Pubblica Istruzione che lei stessa mi ha dato ragione.


Il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini insufflata alle sue spalle da Daniela Santanché.


Con la candida sfrontatezza che contraddistingue tutti gli esponenti del Governo/Mediaset/Mondadori (in cui Uomo, Partito, Stato e Azienda non si distinguono più),
Mariastella Gelmini ha annunciato di voler concedere finanziamenti alle famiglie
per indurle a frequentare le scuole private.

Ora è chiaro a cosa servono i tagli lineari alla scuola pubblica

del ministro dell’istruzione pubblica. Le stesse risorse finanziarie saranno destinate agli istituti scolastici privati, diplomifici
, centri di indottrinamento confessionale, centri di addestramento di esecutori obbedienti ai voleri dell’Azienda-Stato-Persona.

Le risorse raccolte con le imposte pagate da tutti i cittadini serviranno a finanziare di fatto imprese private di fabbricazione del consenso.

La Costituzione della Repubblica Italiana, art. 33, commi 2 e 3, recita in modo inequivocabile: “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.

Che cos’è lo Stato?

Lo Stato sono i cittadini. Perciò, “senza oneri per lo Stato” significa “senza oneri per i cittadini”. Sembra abbastanza chiaro che i cittadini non debbano essere gravati di imposte per finanziare iniziative private.

L’iniziativa del ministro è dunque contraria alla lettera e allo spirito della Costituzione
e forse occorrerebbe fornire più chiaramente queste informazioni a tutti coloro che hanno a cuore la libertà e la democrazia (quelle vere, non quelle che compaiono negli slogan dei partiti, parole spesso svuotate di senso) e la difesa sostanziale della nostra Carta fondamentale, fonte dei diritti di tutti.

Già nel 1955 un grande filosofo e politico laico come Guido Calogero aveva, con straordinaria lungimiranza, indicato il pericolo e il percorso per evitarlo.
Ecco il suo intervento, di grande attualità, pubblicato sulla testata Il Mondo del 6 Dicembre di quell’anno:


«Se in Italia la scuola laica è in pericolo, questo significa che molti italiani non hanno ancora capito che interesse abbiano a difenderla.
E non si suscita quell’interesse solo ripetendo che essi debbono difenderla.
Bisogna far loro capire in che consiste quell’interesse, ragionando, per così dire, sulla pelle dei loro figli, cioè spiegando loro che cosa una scuola seria deve dare ai loro figli, e che cosa non deve dare, affinché essi ne escano cittadini capaci e ragionevoli, i quali non mandino a male le loro faccende private e pubbliche creando così la loro stessa infelicità.
Ed ecco che non si può non parlare della struttura stessa della scuola, e di come i docenti debbono insegnare e di quel che i ragazzi debbono imparare. Di fatto, la battaglia per il laicismo educativo non è altro che la battaglia per una scuola più intelligente contro una scuola meno intelligente.
E proprio per ciò che essa si presenta da noi in primo luogo come difesa della scuola di Stato – cioè della scuola che, dovendo essere assicurata dallo Stato a tutti i cittadini, quale che sia il loro orientamento religioso, ideologico o politico, deve restare indipendente da ogni presupposto di tal natura – nei confronti della scuola privata, la quale, essendo quasi sempre organizzata da gruppi caratterizzati confessionalmente, si appella a famiglie, e forma scolaresche, sempre educate in modo più o meno unilaterale.

La fondamentale legittimità di questo aspetto della difesa della scuola laica consiste nel fatto che un’educazione condotta, comunque, in base a certi orientamenti dottrinali presupposti come indiscussi, o discussi in misura insufficiente, crea uomini moralmente e civicamente meno solidi di un’educazione la quale non presupponga alcun tabù ed alleni continuamente i giovani all’attenta e rispettosa discussione di qualunque idea e fede, propria ed altrui.
In una situazione come la nostra, il pericolo della diffusione di un tipo di educazione conformistica, in cui i docenti cerchino soprattutto di formare giovani che la pensino come loro, coincide ovviamente, in larga misura, con quello della diffusione della scuola privata, la cui organizzazione finanziaria e strutturale è possibile quasi soltanto ai gruppi cattolici.
Di qui la necessità di difendere vigorosamente contro di essa la scuola di Stato, la quale nonostante tutto continua ad offrire una maggiore garanzia di non confessionalità;
di qui la necessità di non accedere alla richiesta della sovvenzione statale a scuole private, salvo alla condizione (di accertamento pressoché impossibile oggi in Italia) che esse non fossero né cattoliche, né comuniste, né comunque dominate da un unitario orientamento dottrinale».




Guido Calogero con la moglie Maria Comandini e i figli Francesco e Laura sui prati di Chiamulera (Cortina d’Ampezzo), nel 1940.

Fonte.

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22/04/2010 12:16

Scuola, la Gelmini concorda con la Lega: nel 2011 graduatorie regionali per i prof

Soddisfazione del Carroccio. Sindacati sul piede di guerra

MILANO (19 aprile) - Il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini pensa all'inserimento nel 2011 delle graduatorie regionali degli insegnanti, una novità che potrebbe essere introdotta nel ddl per la riforma del reclutamento e della valutazione del corpo docente. Obiettivo, tra l'altro, l'avvicinamento della residenza al luogo di lavoro. Le graduatorie erano state annunciate nei giorni scorsi dal presidente lombardo Roberto Formigoni.

La novità, ha spiegato la Gelmini a margine di un incontro al Palazzo della Regione Lombardia, si inquadrerà comunque in un nuovo contesto normativo per gli insegnanti. «Stiamo lavorando - ha rivelato il ministro, appena tornata al lavoro dopo la pausa per la maternità - a un elevamento della qualità didattica all'interno della scuola, con un Ddl sul reclutamento degli insegnanti e la loro valutazione».

La nuova legge punterà alla introduzione della meritocrazia nel corpo docente. «Vogliamo mettere a punto un ddl che possa incontrare finalmente il raggiungimento di due obiettivi - ha spiegato Mariastella Gelmini - da un lato l'avanzamento degli insegnanti legato alla carriera e non all' anzianità di servizio come purtroppo è oggi, e dall'altro un sistema di valutazione che ci consenta di redistribuire i risparmi in termini meritocratici».

Soddisfatta la Lega. «Siamo in dirittura d'arrivo per quella che costituisce una battaglia storica di Umberto Bossi e di tutta la Lega Nord» ha commentato soddisfatto il senatore Mario Pittoni, capogruppo del Carroccio in commissione Istruzione del Senato. «Attendevamo con trepidazione - ha detto - l'annuncio del ministro sugli insegnanti regionali, dopo che se n'era a lungo discusso, avendo già a inizio legislatura depositato in ambedue le Camere un preciso disegno di legge con 'nuove norme per il reclutamento regionale del personale docentè che porta la firma di tutti i parlamentari del Carroccio, il cui obiettivo sono proprio le graduatorie regionali degli insegnanti».

L'idea non piace per niente alla Flc-Cgil secondo la quale il progetto «è una conferma del tentativo di varare sistemi di istruzione regionali, l'uno diverso dall'altro». «Un reclutamento su base regionale, peraltro, - ha osservato il segretario generale, Mimmo Pantaleo - penalizzerebbe i precari. Se l'intento, come dichiarato dalla Lega, è quello di dare stabilit… agli organici, obiettivo più che legittimo, gli strumenti per farlo possono essere altri. Primo fra tutti quello di procedere a un reclutamento pluriennale».

Per il leader della Uil scuola, Massimo Di Menna «è importante garantire la continuità sia agli studenti sia al personale» cosa che si può fare stabilendo «che chi è assunto in una città in una scuola debba restarci per un tot numero di anni (ad esempio 5 anni), bandendo subito i concorsi e varando incarichi pluriennali».

Critico anche il segretario generale della Cisl scuola, Francesco Scrima. «Se questa garanzia non è data, non serve a nulla - ha aggiunto - rincorrere assurde e antistoriche vicinanze fra luogo di residenza e di lavoro».

Sulla stessa linea anche il coordinatore della Gilda, Rino Di Meglio. «Piuttosto che insistere nel voler bloccare l'ingresso di insegnanti provenienti da altre regioni sarebbe preferibile incoraggiare il radicamento sul territorio e la stabilizzazione dei docenti con meccanismi premiali» ha osservato dichiarandosi «nettamente contrario» alla chiamata diretta da parte degli istituti.

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22/04/2010 12:18

La favola dei prof del sud

Ma solo lo 0,5% torna al meridione e due su dieci restano al nord

FLAVIA AMABILE

La sento ripetere da tempo ormai questa leggenda dei professori meridionali che vanno al Nord, rubano i posti ai settentrionali e dopo un anno si fanno trasferire al sud lasciando stuoli di studenti a dover ricominciare da capo con un nuovo insegnante, forse ancora di origini meridionali, in una progressione senza fine che provoca danni irreversibili nei ragazzi del nord per colpa dei soliti prof del sud, un po' maneggioni, un po' approfittatori, di sicuro incapaci di stare alle regole del gioco e anche ladri di posti altrui.

Su questa favola si è costruita una parte del consenso del centrodestra nei confronti della proposta della Lega e poi del governo di realizzare graduatorie regionali per il reclutamento dei professori. C'è un solo, vero punto debole in questo ragionamento, i dati.

La Fondazione Agnelli li aveva pubblicati nei mesi scorsi sottolineando in neretto che dalla lettura dell'analisi «risultano smentiti convincimenti talvolta presenti nell’opinione pubblica e nelle forze politiche, ad esempio quelli della mobilità di rientro degli insegnanti meridionali». Le cifre raccontano una realtà ben diversa: su 120 mila domande di trasferimento l'anno sono 692, lo 0,5%, quelle che riguardano prof che dal Nord vanno al Sud. E al nord fra gli insegnanti di ruolo 2 su 10 sono originari del sud.

Tutti i dati potete trovarli a questo link

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28/05/2010 10:06

La scuola non tema le novità

MARIASTELLA GELMINI
Caro Direttore,
condivido le preoccupazioni di Irene Tinagli sul futuro dei molti giovani che non sono impegnati nello studio e nemmeno sul lavoro. Si tratta di una condizione di disagio con evidenti ripercussioni negative sugli individui e sulla società. Proprio per questo il governo ha intrapreso fin dall’inizio del suo mandato un’azione incisiva su questo fronte. Per la prima volta da molti decenni è stata messa a punto una riforma delle superiori ampiamente condivisa e in linea con le esigenze della cultura e della società dei nostri tempi.

Con il ministro Sacconi abbiamo sottoscritto il «Piano per l’occupabilità dei Giovani: Italia 2020», che punta ad una piena integrazione tra il sistema educativo e il mondo del lavoro e ad una rapida transizione dalla scuola al lavoro. Un piano in sei interventi che darà impulso ad una serie di iniziative volte a rilanciare l’istruzione tecnica e professionale, il contratto d’apprendistato, l’utilizzo dei tirocini formativi, il ruolo della formazione universitaria e l’apertura dei dottorati di ricerca al sistema produttivo. Per l’università si prospetta ora un’occasione irripetibile, quella di una riforma organica e di ampio respiro in grado di rimettere in gioco le energie migliori della nostra ricerca. Nuova governance, bilanci e concorsi più trasparenti, più attenzione ai giovani studiosi.

Mi sembra quindi fuori luogo ridurre questi sforzi ad una battuta e dire che il ministero dell’Istruzione è più in sintonia con quello del Turismo che con le esigenze di crescita dei nostri giovani. Il problema è davvero diverso, sia nel caso specifico che in generale. Ho espresso - e la ripeto - la disponibilità a discutere senza pregiudizi una rimodulazione del calendario scolastico, tenendo presenti due fatti oggettivi: oggi in Italia i giorni di scuola sono più numerosi rispetto alla media europea e a Trento e Trapani il clima non è proprio lo stesso. Quindi ben venga un dibattito su come rendere l’anno scolastico più flessibile e aderente alle esigenze di diverse parti del Paese.

Però, come dicevo, esiste anche un problema generale, che è quello del rapporto tra quantità e qualità. Negli anni il nostro sistema educativo, sia nelle scuole che nelle università, ha privilegiato la prima sulla seconda: più ore di scuola, più insegnanti e professori, più corsi di laurea, più sedi, più studenti universitari. E’ bene riconoscere che tutto questo non vuol dire aumentare la qualità dei processi formativi. La scuola e l’università devono tornare ad una visione rigorosa e - vorrei dire - orgogliosa del loro compito, che è quello di creare e trasmettere conoscenza, anche se questo significa in molti casi abbandonare consuetudini alle quali in molti si erano attaccati. E’ finita un’epoca. Oggi la crisi internazionale ce lo impone: o si cambia o non si è più in grado di reggere la sfida della modernità. Per questo mi aspetto che il Parlamento approvi al più presto, e con una larga maggioranza, la riforma delle Università.

*Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca

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30/06/2010 15:21

La Gelmini: "Il 3+2 non funziona"

Il ministro ammette il flop della riforma delle università e ne annuncia un'altra Da subito un nuovo sistema di valutazione dei risultati da cui dipenderanno i fondi
ROMA

Per l'università è in arrivo una nuova riforma. E questa volta riguarda l'odiato- amato 3+2. Per il ministro Mariastella Gelmini, il 3+2, che tanto fece storcere il naso agli universitari quando venne varato, non funziona. Il ministro l'ha ammesso stamane, annunciando che «si dovranno apporre correttivi al cosiddetto 3+2. Sicuramente ha dato meno risultati di quanto ci si aspettasse».

In un settore perennemente sull'orlo della crisi di nervi, dopo anni di riforme e contro-riforme, la Gelmini ha promesso che la nuova revisione degli ordinamenti didattici avverrà «senza stravolgere un sistema che ha già subito tanti scossoni. Non si può continuamente ripartire da zero». Però, «in molti casi alla laurea triennale non sono conseguiti opportunità occupazionali facili e certamente nel tempo bisognerà apporre correttivi».

Ha quindi ricordato che «abbiamo cominciato a tagliare i corsi di laurea inutili e gli insegnamenti che non hanno ragion d’essere, che hanno offerto molte cattedre ma non hanno dato risultati agli studenti. Dobbiamo fare in modo che la laurea non sia un pezzo di carta inutile». Ha poi puntato il dito contro alcuni specifici corsi di laurea: «Per molto tempo molte risorse sono state indirizzate nel finanziare corsi di laurea come Scienza della Comunicazione che hanno creato molte illusioni ma poi si sono trasformate in cocenti delusioni».

Ed ecco tornare il refrain sulla valutazione dei risultati, ripetuto da anni dai ministri, ma anche dagli stessi atenei, e che ciononostante resta una chimera: per dare maggiore qualità «serve un sistema di valutazione dei risultati. Oggi nel nostro Paese quasi tutto il fondo di finanziamento statale viene distribuito a pioggia in maniera uguale per tutti». Il Governo ha già dato rassicurazioni, in sede di approvazione della manovra in Consiglio dei ministri, circa il fatto che il fondo di finanziamento statale verrà almeno in parte reintegrato, ma non possiamo più spendere quelle risorse in maniera indistinta. Serve un collegamento e una maggiore trasparenza fra le risorse investite e i risultati ottenuti».

Ed ecco la sua promessa: «La mia riforma è un nuovo approccio del sistema universitario con un’agenzia nazionale di valutazione dell’Università e della Ricerca che è già stata varata e che entrerà in funzione a ottobre-novembre. Grazie a questa agenzia che capitalizza anche il lavoro dal consiglio nazionale di valutazione del sistema universitario, dal Civr, organo che valuta la ricerca, noi potremmo andare a misurare i risultati e concentrare le risorse dove queste hanno un impiego e un’utilità».

Promette un passaggio «epocale», da sistema di risorse distribuite a pioggia «a un sistema di valutazione, e da una gestione confusa a una gestione che individua responsabilità». A proposito di risorse, ha ammettesso che il problema della cronica carenza di investimenti esiste. Per la Gelmini però non è tanto una questione ragionieristica, di quantità di denari, ma di impostazione. «Comunque - ha detto - il governo ha garantito quest’anno 400 milioni di euro e anche per il prossimo anno l’attenzione al sistema universitario ci sarà ».

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06/07/2010 15:29

Le ore e ore di religione

La scuola pubblica arranca e fa sacrifici sotto i tagli del governo, scrive Repubblica, ma gli insegnanti di religione aumentano.

"Il loro numero è sempre cresciuto, fino alla cifra record (26.326 unità) dell'anno scolastico appena archiviato".

Se non appartenete alla pur nutrita categoria degli italiani con bambini che vanno a scuola, forse pensate che nella scuola italiana ci sia “l’ora di religione”: ve ne ricordate da quando eravate bambini e sapete che un’originale ingerenza di uno stato estero – il Vaticano – nelle leggi di uno stato poco laico – l’Italia – impone che parte della didattica scolastica e degli investimenti economici statali siano sacrificati in questo senso al compimento di un’ora settimanale di insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche.

È quasi vero, in effetti, salvo un simbolico dettaglio: che le ore di religione sono due e non una per gran parte del corso della scuola dell’obbligo, ovvero tutte le elementari. A scapito di tempi proficui per la formazione su altre materie e l’occupazione in diverse attività, di investimenti su diverse priorità, con oneri maggiorati dalla necessità di tenere a disposizione gli insegnanti per chi si esoneri dall’ora di religione, e in una fascia di apprendimento in cui l’approccio alla conoscenza della religione non può che essere precoce e acritico.

Da tempo si discute dei costi economici di questo impegno, che sono stati stimati per lo Stato in cifre che variano tra i 600 milioni di euro e il doppio di questa cifra. Una quota notevole, soprattutto in tempi di tagli alla scuola pubblica che mettono in discussione il suo ruolo e la sua capacità didattica. Oggi Repubblica segnala che a quanto pare il ridimensionamento di investimenti sulla scuola degli ultimi anni non ha riguardato l’insegnamento della religione cattolica.

Il confronto con un anno fa consegna un quadro della scuola italiana con sacrifici per tutti, dagli alunni disabili ai precari, tranne che per gli insegnanti di Religione.

Spiega l’articolo che dal 2005, quando la nuova legge ha consentito l’immissione in ruolo dei primi 9157 insegnanti di religione

il loro numero è sempre cresciuto, fino alla cifra record (26.326 unità) dell’anno scolastico appena archiviato. I quasi 14 mila prof di ruolo, in leggera flessione rispetto a 12 mesi fa, sono stati abbondantemente compensati dai colleghi precari: 12.446 in tutto.

Sarà interessante analizzare il dato dell’anno prossimo, ora che nuovi consistenti tagli stanno riguardando la scuola pubblica, e verificare se una parte di questi sacrifici economici riguarderà infine anche l’insegnamento della religione o solo le altre attività scolastiche. Ma il dato è già rilevante rispetto a quello che è accaduto nel primo anno di amministrazione Gelmini.

Nel frattempo, la scuola italiana è stata oggetto di tagli senza precedenti. Nel triennio 2009/2012 spariranno 133 mila cattedre per un totale di 8 miliardi di euro. Ma non solo: l’incremento degli alunni disabili (da 175.778 a 181.177 unità) è stato fronteggiato con un taglio netto di oltre 300 cattedre di sostegno. Quasi 37 mila alunni in più sono stati stipati in 4 mila classi in meno. E sono diminuiti persino i plessi scolastici: 92 in meno. È toccato al personale della scuola pagare il prezzo più alto al risanamento dei conti pubblici. In un solo anno gli insegnanti di ruolo sono calati del 4%, senza nessun recupero da parte dei precari che hanno dovuto salutare quasi 14 mila incarichi con relativo stipendio. Per non parlare del personale di segreteria, dei bidelli e dei tecnici di laboratorio: meno 6% in 12 mesi.

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Utente Power



07/07/2010 15:45

Prof migliore d'Italia: disoccupato

La Gelmini lo premierà come "docente dell’anno" ma è precario e quindi resta senza cattedra

FRANCESCO MOSCATELLI

INVIATO A UGGIATE (Como)
È il professore più bravo d’Italia. È rimasto senza lavoro anche quest’anno. Si chiama Luca Piergiovanni, ha 37 anni, e insegna(va) italiano alle medie «G.B. Grassi» di Uggiate-Trevano, in provincia di Como. Una settimana fa, mercoledì 30 giugno, ha ricevuto questa mail: «Gentile collega, a nome del presidente nazionale dell’Anp (l’Associazione nazionale Dirigenti e Alte professionalità della Scuola), ti esprimo vive congratulazioni per il tuo successo nell’aggiudicazione del premio “Docente dell’anno”». Le motivazioni? «Per il tuo impegno nell’innovazione didattica attraverso l’uso delle tecnologie».

Un trionfo. Peccato che lo stesso giorno sia scaduto il suo ennesimo contratto a termine.
Luca è un professore del 2010. Di quelli che danno del tu al computer. Da un paio d’anni, quando si parla di «strategia delle tre i», lui e i suoi studenti girano l’Italia per spiegare agli altri come si fa: hanno vinto il premio «A scuola di innovazione» del Ministero dell’Istruzione, hanno partecipato al «Forum della Pubblica amministrazione» di Roma, al «Toscana Lab», hanno esportato in Lombardia i corsi di alfabetizzazione informatica per anziani e hanno aperto un sito internet multimediale dedicato alla musica e alla letteratura (www.chocolat3b.podomatic.com). Idee e progetti che andrebbero valorizzati. E che invece hanno il respiro corto del precariato.

«All star» color fucsia ai piedi, e piercing d’acciaio sotto il labbro, Luca apre la porta della sua casa di Valmorea, un minuscolo comune incollato alla Svizzera, e, nonostante si sia appena iscritto per la quinta volta al centro per l’impiego, prova a sorridere. L’appartamento, in affitto a 400 euro al mese (spese e bollette escluse), stona decisamente con il suo look: le pareti sono rivestite con una vecchia carta da parati grigia, i mobili sono di mogano scuro. «Vivo qui da cinque anni, ma sono sempre sul punto di traslocare - spiega Luca, sfoderando un fortissimo accento toscano - . Il mio posto è stato tagliato e a settembre non so se potrò insegnare e nemmeno dove mi spediranno». Originario di Arezzo, laureato con 110 e lode in Lettere a Perugia, Luca aveva tentato la carriera accademica. «Dopo due pubblicazioni scientifiche, tante pacche d’incoraggiamento e tre anni di tira e molla, ho deciso di frequentare i corsi di abilitazione all’insegnamento - ricorda -. Dalle mie parti, però, trovare un posto era impossibile. Nemmeno una supplenza.

E dire che c’era una scuola media proprio a cento metri da casa mia. Per non cadere in depressione, a 32 anni, sono tornato al mio lavoro del liceo: il disc jockey. Facevo 3 o 4 serate a settimana: dance anni ’70-’80, house, musica latina. Per campare ho fatto di tutto: il karaoke sulla riviera romagnola e il barman alle feste cubane. Quando ho ricevuto una proposta da Como mi è sembrato di rinascere».

Il rosario, in realtà, era appena iniziato. «Nel 2005 ho avuto un contratto completo fino al 31 agosto - spiega -. A partire dall’anno successivo, però, le cose sono peggiorate: ogni anno una scuola diversa, contratti in scadenza il 30 giugno e pochissime ore di lezione a settimana». Lo stipendio? Ottocento euro al mese, compresi i consigli di classe, i colloqui con i genitori e la correzione dei compiti. Quest’anno ha toccato il fondo con uno «spezzone orario»: due classi, dodici ore a settimana. Per raggiungere quota 18 ore e lo stipendio base di 1300 euro al mese si è dovuto inventare alcuni corsi pomeridiani. «Intendiamoci: non sono un martire. Ma quando sento parlare di fannulloni mi viene da piangere - continua Luca -. Ci sono altre migliaia di persone, anche più anziane di me, nelle mie stesse condizioni.

Ci chiamano ragazzi, ma mi sembra assurdo che a 37 anni uno non possa pensare di crearsi una famiglia. Mi hanno detto che alle premiazioni per il “Docente dell’anno” ci sarà il ministro Gelmini. Sto preparando una lettera da consegnarle: com’è possibile che in Italia il merito e l’impegno non paghino mai?». Fuori dalla finestra del salotto svetta il monte Generoso, che divide l’Italia dalla Svizzera. «Chissà dove finisco dopo le vacanze. Alla mia ragazza hanno offerto un posto dall’altra parte del confine. Quasi quasi ci vado anch’io. Se rimango qui, rischio di trovarmi ancora a fare il dj alle feste cubane. Altro che figlioli».

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07/07/2010 16:20

Arjuna, 07/07/2010 15.45:

La Gelmini lo premierà come "docente dell’anno" ma è precario e quindi resta senza cattedra




Al suo posto bisognerebbe lasciare senza cattedra qualcuno dei professori di ruolo incapaci.
Peccato che questi alla faccia della qualità dell'insegnamento hanno raggiunto la stabilità per anzianità e sono oggi intoccabili.

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07/07/2010 16:52

Re:
paperino73, 07/07/2010 16.20:




Al suo posto bisognerebbe lasciare senza cattedra qualcuno dei professori di ruolo incapaci.
Peccato che questi alla faccia della qualità dell'insegnamento hanno raggiunto la stabilità per anzianità e sono oggi intoccabili.




ma... li hai conosciuti per esperienza diretta? [SM=x44466]
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paperino73, 03/09/2009 8.32:

---CUT--- Io continuo a dire "Forza Gelmini" sperando che il ministro abbia la forza di portare avanti una riforma necessaria quanto importante per cercare di cambiare la cultura di questo stato e dei suoi cittadini in chiave un po' più liberale ...


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PD e IDV: «Parlano di qualità ma poi tagliano i fondi per l'istruzione»

Studenti e precari criticano  la Gelmini

NOTIZIE CORRELATE:

Il ministro: «Slogan vecchi, vado avanti», «Dà fastidio che la scuola non sia più proprietà privata della sinistra».

In migliaia ai cortei in tutta Italia

Un momento della manifestazione (Ansa)
Un momento della manifestazione (Ansa)
MILANO - «Siamo 30 mila». Gli studenti e i precari della scuola che partecipano al corteo di Roma, la principale delle mobilitazioni contro la riforma Gelmini organizzate in tutta Italia, si contano e rilanciano a colpi di slogan: «Noi non moriremo precari», «Siamo una marea di conoscenza e stiamo per seppellire questa ignoranza». Il «No Gelmini Day» si celebra in tutta Italia (a Milano l'altro grande corteo a cui hanno partecipato tra i 10 e i 20 mila studenti e dove si sono registrati alcuni momenti di tensione) e punta il dito in particolare con la riforma della scuola superiore voluta dal governo. Ma non è solo questa nel mirino degli studenti: «Nelle scuole ci sentiamo come in carcere - ha detto Tito Russo, rappresentante dell'Unione degli studenti, spiegando perché una parte dei manifestanti ha sfilato vestita con abiti da carcerati -: l’edilizia è fatiscente, la didattica è vetusta, i costi per studiare sono elevatissimi e ormai insostenibili».

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Scuola in corteo:
Scuola in corteo   Scuola in corteo   Scuola in corteo   Scuola in corteo   Scuola in corteo   Scuola in corteo   Scuola in corteo

«SLOGAN VECCHI» - Il ministro Maria Stella Gelmini, dal canto suo, minimizza la protesta e parla di «vecchi slogan di chi vuole mantenere lo status quo». «Bisogna avere il coraggio di cambiare - ha detto - . È indispensabile proseguire sulla strada delle riforme: dobbiamo puntare a una scuola di qualità, più legata al mondo del lavoro e più internazionale. Per ottenere questi obiettivi stiamo rivedendo completamente i meccanismi di inefficienza che hanno indebolito la scuola italiana in passato. Un lavoro e un percorso difficile, ma indispensabile. È necessario lo sforzo di tutti coloro che hanno a cuore la scuola». Quanto alla mobilitazione, che ha visto gli studenti affiancarsi anche allo sciopero proclamato da Cgil e Unicobas, secondo la responsabile del dicastero di viale Trastevere è promossa da chi «è aprioristicamente contro qualsiasi tipo di cambiamento e crede di usare la scuola come luogo di indottrinamento politico della sinistra». E ancora: «La scuola non più proprietà privata della sinistra, evidentemente questo a molti dà fastidio».

LE REAZIONI DELL'OPPOSIZIONE - Le parole del ministro vengono però criticate dalle opposizioni. «Con quale coraggio - si chiede Giuseppe Lumia del PD - la Gelmini parla di una riforma che punta sulla qualità? I tagli rispondono solo ed esclusivamente alle esigenze di bilancio. Gli studenti e i precari protestano perchè la scuola è al collasso. Il governo non ignori le loro ragioni. Chi usa la scuola come luogo di indottrinamento politico è il governo, che ha introdotto persino programmi di educazione militare». E Massimo Donadi, capogruppo dell'Idv alla Camera, aggiunge: «La Gelmini farebbe meglio a confrontarsi con chi tutti i giorni vive sulla propria pelle gli effetti nefasti della sua riforma e ad ascoltare di più le proposte dell'opposizione, invece di liquidare come vecchi slogan la protesta di oggi.

È stupefacente l'ipocrisia del ministro che parla di qualità, merito, di coraggio di cambiare ma poi in commissione la sua maggioranza boccia l'emendamento anti-baroni di Italia dei Valori, teso a restituire merito e trasparenza nel mondo universitario. Di quale merito o qualità parla il ministro Gelmini se poi la sua riforma tutela baronie, signoraggi e vassallaggi nelle università?».

AUTUNNO CALDO -«Questa è solo la prima giornata di rivolta di un autunno che si preannuncia sempre più incandescente - hanno spiegato i Collettivi universitari - . Oggi è stato importantissimo saldare le lotte della scuola con quelle dell'università, perchè solo uniti è possibile vincere contro il Governo dei tagli e contro gli attacchi di Confindustria. Ma non ci fermeremo qui: lunedì torneremo nelle nostre facoltà per estendere ancor più la mobilitazione». Tra i prossimi appuntamenti con la piazza, la manifestazione nazionale del 16 ottobre e alcune iniziative attorno al Parlamento, dove da giovedì prossimo è in calendario la discussione sul Ddl Gelmini.

 

Fonte: Corriere della Sera - Redazione online
08 ottobre 2010

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Naturphilosopher Ethilista
08/10/2010 18:38

Per tamponare almeno in parte le mostruose falle economiche sarebbe bastata una semplice misura: azzerare qualsiasi finanziamento alle scuole private, che in uno Stato civile dovrebbero finanziarsi da sole senza batter cassa ai fondi pubblici.

Invece si fa il contrario, il disegno politico è chiaro: creare una scuola di qualità privata e a pagamento, con gioia e lucro per i proprietari degli istituti medesimi (spesso enti ecclesiastici) e vantaggio per i figli di papà che le frequentano, che nella vita ce la farebbero comunque grazie a raccomandazioni e spintarelle varie.

Per converso ci sarà una scuola pubblica disastrata, fatiscente e pericolosa (specie dopo gli addestramenti militari del protocollo Gelmini-La Russa)destinata a stranieri, indigenti e tutti gli indesiderabili assortiti che non saranno mai "classe dirigente".

Con buona pace della Costituzione e dell'eguaglianza di diritti (che dovrebbe stare a cuore pure ai "liberali").

Colpa dello sfascio va senza dubbio anche ai sindacati che hanno per secoli difeso anche i più indifendibili docenti assenteisti, ignoranti o psicotici e alla cultura di sinistra che ha accettato e promosso una scuola "facile" che punta ad informare anzichè a formare (il serafico preside del film "Bianca" di Nanni Moretti era una figura profetica), dimenticando che una scuola "vera", inevitabilmente dura, faticosa e selettiva era l'unica strada che i figli delle classi lavoratrici e subalterne avevano per riscattare le proprie origini e diventare "classe dirigente" in modo incruento e democratico.

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Briscola IperCafonica 2012
15/10/2010 14:10

lezioni a rischio

Oggi sciopero dei Cobas in 13 città
contro i tagli della riforma Gelmini

«Per l’eliminazione di 140'000 posti di lavoro in 3 anni e l’espulsione in massa dei precari»

Gli studenti in protesta per i tagli nella scuola pubblica a Cagliari la scorsa settimana (Ansa)
Gli studenti in protesta per i tagli nella Scuola Pubblica a Cagliari la scorsa settimana (Ansa)
ROMA - Ad una settimana di distanza dal 1° Sciopero Nazionale, indetto da Usi, Unicobas e Flc-Cgil, oggi nelle scuole italiane lezioni di nuovo a rischio: stavolta a fermarsi per l’intera giornata saranno i Cobas, che manifesteranno in 13 città per protestare contro «il massacro della scuola con l’eliminazione di 140'000 posti di lavoro in 3 anni e l’espulsione in massa di quei precari che per anni hanno sostenuto un’istituzione impoverita da tutti i governi degli ultimi 20 anni».

DOVE - Le manifestazioni del sindacato di base si svolgeranno a Torino, a L’Aquila, ad Adro in provincia di Brescia, a Venezia, a Bari. Cobas in piazza anche a Napoli, a Genova, a Pisa, a Orvieto, a Cagliari. In Sicilia, oltre alla manifestazione regionale a Palermo, i manifestanti sfileranno a livello provinciale a Catania. A Roma l’appuntamento è alle ore 10,00 davanti al Ministero dell’Istruzione, dove confluirà anche il corteo, autorizzato dopo un lungo braccio di ferro con il Comune, dei collettivi studenteschi di «Senza Tregua» che è partito da Porta S. Paolo alle 9. (fonte: Apcom)




Fonte: Corriere della Sera - 15 ottobre 2010

 
[Modificato da Etrusco 15/10/2010 14:11]
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Briscola IperCafonica 2012
24/11/2010 12:48

tagli a Pubblica Istruzione e ricerca
Ore 12,37 del 24 Novembre 2010,
le proteste per i tagli alla Pubblica Istruzione si fanno sempre più vivaci.
Si mette male per il Ministro Gelmini

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24/11/2010 13:18

PALAZZO MADAMA

Assedio degli studenti al Senato|Foto

Esplode la protesta
contro la riforma Gelmini: lanci di uova e urla

13:02   CRONACHE Un gruppo varca il portone di Palazzo Madama: allontanati dalle forze dell'ordine. Malore per un funzionario.

Slogan contro il ministro dell'Istruzione: «Dimissioni!»  Le Foto




striscione portato in piazza Montecitorio dai liceali romani per protestare contro lo stato di degrado degli edifici scolastici italiani (Ansa)

 
Circa 500 studenti di molti licei della Capitale hanno partecipato al sit-in davanti a Montecitorio (Ansa)





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