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Parigi pronta a vietare il burqa

Ultimo Aggiornamento: 11/11/2010 10:27
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06/05/2010 11:46

"Mi velo per l'Islam ma l'ho scelto io"

Novara, parla la donna multata perchè indossava il niqab
EGLE SANTOLINI
NOVARA

Amel, ma alla mamma, su Skype, gliel’ha spiegato che cosa è successo? «No che non gliel’ho detto», dice. E aggiunge: «Non voglio che si preoccupi. E poi che cosa ne capisce, lei a Tunisi, delle multe che si prendono qui a Novara? Io, nel mio Paese, vado vestita come voglio. Qui, invece, non capisco bene come mai se la sono presa proprio con me. Non ho mai dato fastidio a nessuno, io. Esco una volta sola la settimana per andare in moschea. Neanche al supermercato vado, ci pensa mio marito. Mi velo perché lo vuole l’Islam, ma è una scelta tutta mia. Però per strada, il venerdì, ci devo passare per forza. Mi dica, a pregare dovevo andarci in volo?».

Eccola qui la ragazza Amel, 26 anni, «l’araba col burqa» (sbagliato: il suo tecnicamente è un niqab, di quelli neri che avvolgono dalla testa ai piedi, i guanti a coprire le mani e soltanto una feritoia per gli occhi), prima destinataria dell’ordinanza voluta dal sindaco Massimo Giordano che vieta di girare coperte nei luoghi pubblici. A casa sua, nel piccolo appartamento che divide nel quartiere industriale di Sant’Agabio col marito Ben Salah, 36 anni, muratore, attualmente disoccupato, e di fronte a un’altra donna, non ha problemi a mostrarsi in volto. Ed è proprio carina Amel: occhi grandi, belle labbra spesso sorridenti, lineamenti infantili e delicati. I capelli celati da un piccolo foulard nero, un pullover rosso vivo piuttosto civettuolo, gambe coperte, calzini vezzosi. È seduta al computer e si ha la sensazione che sia lì che impieghi quasi tutta la sua giornata: «Parlo con la mamma e con il resto della famiglia, c’è la webcam e ci possiamo vedere negli occhi».

Tutt’intorno, una cucina modesta. Vivande in preparazione, ninnoli, due materassi rivestiti di tessuto distesi sul pavimento, qualche quadretto alle pareti. Il caseggiato dove abita la coppia è punteggiato di padelle satellitari, ma qui di televisione non vi è traccia. L’alloggio si apre, a pianterreno, su un cortile. Dove un anziano vicino, novaresissimo, ci ha indicato di malavoglia dove vivono «quelli là. A multarli han fatto bene. Provi, ma non parlano con nessuno». Aveva torto, per fortuna. Da quando è arrivata in Italia, due anni fa, Amel si è giocata tutta la vita qui dentro. È lunga la settimana, senza un’amica con cui parlare? «No, la solitudine non mi pesa. Ho la casa a cui pensare. Mio marito».

Bambini ancora niente? «No, ma arriveranno quando sarà l’ora». Su Internet, racconta, va a cercarsi i programmi televisivi arabi, ma soprattutto i siti di ricette. «Il mio preferito è italiano, si chiama “giallo zafferano”: soprattutto le torte mi vengono bene». Letture, giornali? «Il Corano, la preghiera alle ore stabilite. Ho anche questo libro di scuola, però», ed è una grammatica italiana con la Torre di Pisa in copertina, dentro tanti segni a matita e molte orecchie. «Ho cominciato a imparare l’italiano in Tunisia, nei due anni di liceo che ho frequentato».

Ora lo parla, anche se un po’ stentatamente. Insomma, non le succede di fare molta pratica. Ma ricorre al francese quando deve ricostruire la storia di venerdì, i carabinieri che la fermano, lei che rifiuta di scoprirsi di fronte a uomini che non siano il marito, la vigilessa che l’identifica, l’annuncio dei 500 euro da pagare: «Ma non eravamo vicino alla posta come hanno scritto i giornali, quello non era un luogo pubblico. Camminavo con mio marito lungo la rivière...». Che sarebbe poi il canalone che attraversa Novara. La guardi e pensi che, globalizzazione o no, rivoluzione digitale o meno, qui si deve sentire un po’ come su Marte. Che cosa pensa, Amel, del Paese che la ospita? Ci sono aspetti che le piacciono, altri che non capisce, multa a parte? Berlusconi? Il Festival di Sanremo? La Lega? Il Grande Fratello? «Non lo so, non so che dirle. Mi pare che tutto vada bene, io non faccio nulla di male, voglio la mia libertà. Mi capisce?»

Ben Salah, che fino a questo punto ci aveva lasciate sole, decide che è venuto il momento di dire la sua. Sembra molto giovane anche lui, la barba curatissima, lo sguardo preoccupato. «È un casino, un casino», ripete. «Ho sentito l’avvocato, vedremo che cosa succederà. Non so come li pagherò questi 500 euro. Ma la devono smettere di dire che eravamo in un luogo pubblico». La strada è un luogo pubblico, signor Ben Salah... «Non capisco, non so. Oggi mi è arrivata anche la bolletta del gas. Guardi, sono quasi 300 euro. Ci voleva pure questa».

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06/05/2010 15:43

«Io coperta come una donna col burqa. E, sorpresa, nessuno mi multa»

A Novara, come vedete, la legge non è uguale per tutti. Oggi alle ore 14 ho provato a rendermi pericolosa come la donna musulmana con il burqa che venerdì è stata multata . Ho stazionato per più di 45 minuti a volto coperto, ma in abiti "occidentali", davanti al medesimo ufficio postale di Novara, controllato (come si può vedere dalle fotografie) da una pattuglia di carabinieri.

E - sorpresa - non è successo nulla. L'ordinanza del sindaco, consigliere e assessore regionale Massimo Giordano svela - è proprio il caso di dire - il suo vero volto. Un provvedimento iniquo e inutile, pensato ed emanato non per garantire maggiore sicurezza in città, ma soltanto per colpire le donne musulmane. Novara è una città sicura non per le stravaganze del sindaco, ma perché esistono le leggi dello Stato e le forze dell'ordine che le fanno applicare. E che mi sento di ringraziare per il loro quotidiano impegno.

Sara Paladini, consigliere comunale di Novara e membro della segreteria regionale del PD.

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15/09/2010 17:29

La Francia vieta il burqa

"Niente velo nei luoghi pubblici".
C'è il sì definitivo, ora manca solo il parere della Corte costituzionale
PARIGI

Definitivo via libera del Parlamento francese al progetto di legge per mettere al bando il velo integrale islamico su tutto il territorio nazionale, incluse strade e piazze, nonostante il parere negativo del consiglio di Stato e il disagio espresso dalle comunità musulmane.

La Francia diventa così il primo Stato europeo a censurare il burqa, una misura allo studio anche in Belgio, dove la sua adozione si è però arenata a causa della crisi politica. Dopo l’ok dell’Assemblea nazionale, lo scorso luglio, il testo - fortemente voluto dal presidente Nicolas Sarkozy - è stato approvato oggi dalla maggioranza dei senatori (246 a favore, 1 contrario). L’adozione definitiva dovrà però essere convalidata dalla corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi nelle prossime settimane. «Vivere la Repubblica a volto scoperto» è «una questione di dignità e di eguaglianza», ha detto il ministro della Giustizia, Michele Alliot-Marie.

Lanciata da un parlamentare comunista, Andrè Gerin, l’idea di censurare il velo è stata poi ripresa dall’Ump, il partito di destra al potere. Sarkozy ha più volte ripetuto che il burqa «non è benvenuto nel territorio della Repubblica». Oggi,i senatori della destra hanno votato compatti insieme con i centristi. Benchè contrari all’uso del velo integrale, la maggior parte dei deputati della sinistra all’opposizione (socialisti, verdi e comunisti), non hanno partecipato al voto, evocando il «rischio giuridico» di un bando totale, visto che a loro avviso una censura del consiglio costituzionale rappresenterebbe «un regalo» per gli integralisti. Il consiglio di Stato ha già espresso le sue riserve su un bando generalizzato, e secondo diversi giuristi la Francia si espone anche a una condanna della Corte europea dei diritti umani.

A inizio estate, critiche erano state espresse da Amnesty International. Mentre il consiglio del culto musulmano (Cfcm) dice che il progetto «rischia di stigmatizzare l’Islam». Per mesi, la diplomazia di Parigi ha effettuato un pressing sui Paesi musulmani per scongiurare boicottaggi e proteste, evitando l’errore del 2004, quando la legge per il divieto del velo nelle scuole scatenò dure campagne anti-francesi. Secondo diversi esperti, è tuttavia probabile che reazioni ostili giungeranno da Paesi come l’Iran, l’Algeria o il Pakistan. Chi viola la legge incorrerà in una multa di 150 euro e/o in un corso di educazione civica. Sanzioni che entreranno vigore solo dopo 6 mesi dalla promulgazione. Chi obbliga una donna a coprirsi integralmente rischia invece un anno di carcere e una multa da 30.000 euro. Pene raddoppiate se la donna è minore. Quella francese è prima comunità musulmana d’Europa (tra i 5 e i 6 milioni di persone, ma solo 2.000 donne indossano il burqa o il niqab).

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20/09/2010 16:41

A scuola con il burqa, rivolta a Latina

Raccolta di firme tra le mamme: spaventa i bambini, la chiamano «la maestra nera»
CRISTIANA PUMPO
LATINA

I bambini che frequentano l'asilo di Sonnino, un paesino in provincia di Latina, la chiamano «la maestra nera». Nera come gli incubi dell’infanzia. È così da tre giorni ormai, da quando è iniziata la scuola; la vedono ogni mattina davanti all’ingresso della materna insieme al suo bambino ed iniziano a piangere e lamentarsi, tanto da non voler più entrare in classe. La «maestra nera» è una signora marocchina che come tutte le altre mamme accompagna ogni mattina il suo bambino a scuola. Il problema nasce dal fatto che per uscire di casa e accompagnare il figlio nella stessa scuola indossa un burqa marrone, e spesso nero, colori cupi che contribuiscono ad intimorire ancor di più i piccoli alunni. È questo abbigliamento, il più ortodosso tra le donne di alcuni paesi islamici, a spaventare i bambini, tanto che le mamme sono preoccupate per la sicurezza dei propri figli.

Perplessità, sottolineate con fermezza, che non hanno niente a che fare con la scelta religiosa della donna, quanto piuttosto con il fatto che «sotto il lungo vestito potrebbe nascondersi chiunque, anche un malintenzionato che avrebbe libero accesso nella scuola».

Le paure materne, per ora, sono state trasmesse solo in forma verbale alla dirigente scolastica, al sindaco di Sonnino e ai carabinieri della stazione locale, ma già si parla di raccolta di firme per ufficializzare il proprio malcontento e per trovare una soluzione condivisa, naturalmente rispettosa di tutti, per tutelare la serenità dei propri figli.

Il problema, dicono le mamme, è che «non riusciamo a comunicare con lei. Ci farebbe piacere poter scambiare qualche parola con lei all’ingresso e all’uscita dei bimbi - dicono – anche per entrare in contatto con una realtà diversa dalla nostra. L’unica cosa che chiediamo è che dentro l’atrio della scuola scopra almeno il viso. Un semplice gesto che però ci rassicurerebbe sulla sua identità e i nostri figli capirebbero che sotto il vestito scuro non c’è nessuna “maestra nera” ma solo una signora come le altre che porta il suo bambino all’asilo».

La donna marocchina vive da circa un anno e mezzo nel centro storico di Sonnino insieme al marito, Moustafa Addi, commerciante ambulante di abiti, imam della moschea di Priverno, uomo di fede e che segue i principi islamici. È lui a spiegare, cercando di abbassare i toni. «Non c’è proprio nulla da temere - dice - si tratta solo dell’abito che indossano le donne del mio paese, appartiene a fede e tradizione. Non c’è da avere paura». La presenza della donna, nonostante una vita finora riservata e tranquilla, non è mai passata inosservata in un paese di cinquemila abitanti. «Fuori dalla scuola è liberissima di indossare ciò che vuole – dicono ancora le mamme di Sonino - l’unica cosa che chiediamo è farsi riconoscere».

A questo punto la parola passa alle istituzioni, soprattutto nell'interesse dei bambini: lunedì la dirigente scolastica, Assuntina Natalini, incontrerà le mamme per vedere come procedere sulla questione; il sindaco di Sonnino, Gino Cesare Gasbarrone, non esclude nulla, anche provvedimenti radicali come un’ordinanza anti-burqa: «Per ora nessuna ordinanza - dice il sindaco - ma a mali estremi estremi rimedi. Spero però di non arrivarci. Con il dialogo sono certo che si potrà far capire alla signora che, nel momento in cui i bambini risentono di questa cosa e manifestano un disagio, é necessario ragionare insieme e trovare una soluzioni condivisa, che rispetti le esigenze della signora e anche quelle dei bambini. Spero non ci sia bisogno di altro».

Il pastore evangelico della comunità di Sonnino, Claudio Zappalà, individua un’altra possibile strada: «Insegniamo ai nostri bambini la diversità».

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11/11/2010 10:27

Niqabitch? Perlomeno sono donne!

Originale protesta di due giovani francesi musulmane contro la legge antiburqa



La cosa che ho sempre trovato più irritante, nel discorso massmediologico sulle donne musulmane e il velo, è la totale mancanza dell’interlocutore più importante: le dirette interessate. Grandi dibattiti televisivi dove spuntano come funghi politici improvvisamente esperti di Islam (sarebbe troppo facile fare nomi, ma lascio alla vostra perspicacia capire di chi parlo), pseudo rappresentanti dell’Islam che parlano un italiano imbarazzante e pontificano sul come perché e quando una donna debba mettersi il velo, sociologi, opinionisti, giornalisti e insomma tutti quelli che passavano per strada…tutto un bel circo mediatico, forse per qualcuno anche divertente, ma…le donne?


Scusate, ma perché nessuno a un certo punto si ferma un attimo e dice “d’accordo, qua pare che il velo islamico sia un tema forte. Cerchiamo di capirci qualcosa di più. Partiamo dalla terminologia. Che differenza c’è tra niqab, burqa e hijab?”. Ovviamente non lo fa nessuno. Anzi, i vari presentatori e giornalisti usano un po’ a casaccio i tre termini credendoli interscambiabili.


E poi: perché, una volta chiarito il lessico appropriato, non si prova a capire qual è il senso profondo che il velo ha nella tradizione islamica, e qual è il motivo per cui le donne lo indossano? Perché non si fa luce su quanto questa sia una scelta, nella maggior parte dei casi, pienamente spontanea e volontaria? No, il clichè standard è quello della povera donnina sottomessa che si copre per obbedire al marito, non è in grado di prendersi la sua libertà e allora noi da grandi salvatori del mondo dobbiamo arrivare e spiegare a questi poveri trogloditi lo stile di vita giusto, come si esprime la femminilità, e come bisogna andare vestiti in giro. In un pieno delirio di eurocentrismo narcisista e purtroppo spesso inconsapevole.


Attenzione, io non parlo in difesa del niqab: capisco perfettamente e approvo la necessità di riconoscere il volto di chi frequenta luoghi pubblici, per non parlare del fatto che coprirsi il viso non rientra neanche nei dettami del Corano, che si limita a prescrivere un velo che copra capelli, braccia e gambe.

Io contesto però il modo con cui si affronta il tema delle donne e delle comunità musulmane che risiedono in Europa, il modo in cui si strumentalizza a fini elettorali la questione, la superficialità e la totale ignoranza con cui si parla di mondo musulmano e della necessità di “liberare” le donne musulmane senza capire che se una comunità ha un problema di patriarcato, perché di quello si tratta, fossilizzarsi ossessivamente sul corpo delle donne non è il modo più illuminato di provare a risolverlo.
Smettete di usare il nostro corpo.


Pensateci un attimo. Perché la modernizzazione della società occidentale deve passare per la mercificazione del corpo femminile? Dimostriamo forse la nostra apertura, la nostra sensibilità alle libertà civili, la nostra democraticità, ad ogni lembo di pelle femminile che scopriamo?


E perché impostare la purezza e l’integrità delle società musulmane (e qui mi rivolgo ai paesi a maggioranza musulmana e alle comunità musulmane in Occidente) sulla sobrietà delle donne? Perché noi, e il nostro corpo, dobbiamo essere il criterio per misurare la rettitudine e i valori musulmani dei paesi islamici? Perché non il corpo maschile, ad esempio? Perché non le nostre scuole, le nostre moschee, il nostro sviluppo nelle scienze umanistiche, la nostra modernità politico-economica, tecnologica, la nostra pietas nell’aiutare i nostri fratelli palestinesi, insomma perché non dimostrare il nostro attaccamento ai valori dell’Islam essendo tutti buoni cittadini di paesi sani e moderni?


E perché, infine, nei paesi occidentali, impostare il dialogo, o meglio lo scontro ( perché è in chiave di polarizzazione manicheista, di presunta superiorità morale e di arrogante paternalismo che spesso i paesi occidentali si pongono nel confrontarsi con i loro immigrati musulmani) con le comunità musulmane sulla base del “problema del burqa”? E’ quello, davvero, il problema? Abolito il burqa, l’integrazione e la convivenza diverranno come per incanto idilliache?


La risposta a queste domande, per quello che ne capisco io, è una sola.
Perché è molto più facile.
E’ molto, molto più facile strumentalizzare come al solito le donne, piuttosto che adottare politiche lungimiranti, introdurre cambiamenti strutturali, modernizzarsi, creare opinioni pubbliche consapevoli, e soprattutto confrontarsi davvero con l’Altro, con il diverso.


E allora, se due giovani francesi musulmane si inventano una protesta davvero originale, ovvero si mettono addosso un niqab e sotto un paio di minishorts, e passeggiano disinvolte per le vie di Parigi, sorrido. Sorrido e penso: beh, finalmente delle donne, e per di più musulmane, dicono la loro. Finalmente da oggetto passivo ci poniamo, ritagliandoci il ruolo un po’ a forza, come soggetto attivo.


Poi ascolto le loro motivazioni. Le ragazze dicono:

“Non abbiamo espresso la nostra riluttanza a questa legge marciando per le strade, piuttosto abbiamo scelto di deviare la rappresentazione classica che si ha del niqab. In parole povere mettere un burqa era troppo semplice, così ci siamo poste la domanda: quale sarebbe la reazione delle autorità di fronte a donne che indossano il burqa e un minishort?”


Ok, riflettiamoci un attimo. Il governo francese vara un disegno di legge che vieta alle donne musulmane di indossare il velo integrale nei luoghi pubblici. La legge viene approvata. Cosa vorrei dire, da francese musulmana al mio governo?
Non userei il mio corpo.
Non voglio, ancora una volta, che tutto passi da lì. Userei la mia voce, userei la rappresentanza, la mobilitazione, e direi al mio presidente: "Io sono francese quanto lei. Cosa ha intenzione di fare per promuovere davvero l'integrazione? Ok, niente burqa nei luoghi pubblici. Potremmo anche essere d'accordo. Ma cosa viene dopo? Qual è il suo progetto?"


Beh, vi dico una cosa. Non mi risponderebbe. Perché non ha un progetto. Come la maggior parte dei governi europei non ha davvero un progetto di integrazione, di collaborazione con le seconde generazioni, di approfondimento sentito e lungimirante sul tema. Le niqabitch non stimoleranno politiche di integrazione più lungimiranti, ma esprimono dissenso. Tocca a noi tutte, donne, fare la stessa cosa nei nostri paesi, possibilmente usando la voce, e non le nostre gambe.

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