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Fisco e burocrazia, la nuova emigrazione è quella delle imprese

Ultimo Aggiornamento: 18/12/2011 14:14
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20/10/2010 11:34

La lenta e opaca macchina statale

Non delocalizzano ma spostano tutta l’attività. E non vanno in Cina ma in Svizzera, in Austria o in Slovenia. Il motivo non è solo il costo del lavoro ma piuttosto la ricerca di Paesi dove la pubblica amministrazione è veloce, efficiente e le tasse sono moderate Anche grazie a vere e proprie campagne promozionali studiate per attirare le aziende
MARCO ALFIERI
MILANO

Trecento aziende italiane si sono già trasferite in Canton Ticino, specie tra il comparto metalmeccanico. Pensavamo che il ticinese fosse l’unica via di fuga, ma poi abbiamo scoperto un mondo nuovo, il Vallese», finora sconosciuto a Cinisello Balsamo, hinterland milanese, dove Laura Costato manda avanti con 4 addetti un’impresetta che fa viterie per elettrodomestici e l’automotive. «Abbiamo infatti deciso di trasferirci vicino Sion. Siamo costretti ad emigrare dove il lavoro è valorizzato, non tartassato...»

Un mondo nuovo
L’imprenditrice parla con un grumo di dispiacere. «Non avrei mai mollato ma devo pensare al futuro dei miei figli, anche a livello scolastico...». Dopo due visite nel Canton Vallese, la signora Costato fa parte di un gruppetto di 6 padroncini che ha deciso di fare il salto oltreconfine. «In modo consortile, per condividere la sfida. Tra tasse dirette e indirette da noi se ne va il 68% dell’utile, come si fa? In Svizzera pagheremo solo la tassa confederale dell’8,5% e, a regime, un’aliquota tra il 12 e il 19%». Ma la cosa che fa più gola è che «sono veloci nella burocrazia e nelle autorizzazioni». Fausto Grosso, 42 anni di Roletto, vicino Pinerolo, insieme a tre collaboratori fa lavorazioni metalliche di precisione. Anche lui traslocherà nel Vallese. «Ne ho già parlato con altri colleghi. Una decina è interessata». La Svizzera non scherza con le lusinghe. A metà luglio Stefano Bessone della «Greater Geneve Berne area» si è presentato a Busto Arsizio ad un’assemblea di Piccoli ossessionati dall’invasione cinese facendo volantinaggio pro confederazione: chi decide di trasferire la produzione creando 10 posti di lavoro, godrà di un’esenzione fiscale totale per 5 anni. Creandone 20, la franchigia raddoppia. Insomma musica per le orecchie di imprenditori vessati da una imposizione che in Italia è formalmente al 31,4% (27,5% Ires, 3,9 Irap) ma che sale oltre il 50% sommando tutti gli oneri.

Affitti a prezzi stracciati
Dopo la trasmissione televisiva «Presa diretta» di due domeniche fa, che ha raccontato il sopralluogo estivo nelle zone artigianali del Vallese con affitti per 2 franchi al metro quadro, il sito di “Imprese che resistono”, l’associazione che prova a lenire i morsi della crisi facendo comunità, si è intasato di tremila clic in poche ore e 200 contatti diretti. Tutti a caccia di informazioni sul nuovo eldorado. Meccanica, tessile, indotto automotive, alimentare… il concentrato di una piccola manifattura sofferente che cerca di ripartire ben oltre il materasso degli ammortizzatori. «Le imprese piccole stanno morendo, e quel che rimarrà è il deserto», si legge in alcuni post. «La colpa è del totale disinteresse del governo. Altri paesi, come la Svizzera, fanno politica industriale lungimirante». Il progetto d’investimento Copernico, lanciato dal Ticino dove il tax rate si ferma al 20% dell’utile e l’Iva è la più bassa d’Europa, ha già attratto 100 aziende italiane offrendo contributi a fondo perduto e incentivi per le assunzioni. Non tanto a chi viene a fare trading commerciale, ma ad aziende come la toscana Pramac, che a Riazzino ha deciso di produrre pannelli fotovoltaici. Così mentre la propaganda da tabloid accusa i nostri frontalieri di essere topi dentro al gruviera, sfruttatori avidi del paese degli orologi, le istituzioni elvetiche si attrezzano per rubarci imprese e competenze. Qualcuno le chiama già micro secessioni. Per ora piccoli numeri ma che anticipano il mondo che verrà dopo la crisi, quando la leva fiscale farà una gran differenza nella competizione tra territori. Come sempre se ne vanno prima le aziende, Riccardo Illy lo aveva profetizzato: ma non per fattori di prezzo (come nella Romania anni Novanta), alla ricerca di un habitat che l’Italia è incapace di costruire. Secondo i calcoli della Cgia di Mestre siamo il paese dove l’incidenza delle corporate tax sul gettito totale è tra i più elevati (17,4%). Lo stesso vale per l’aliquota «implicita» (31,5%), che misura il peso della tassazione in rapporto al valore aggiunto annuo che produce ogni impresa.

Le sirene di Lubiana e Klagenfurt
Le associazioni sono restie a dare i numeri della fuga, ma si capisce che la talpa scava anzitutto nelle terre del forzaleghismo, tra quel blocco sociale deluso cementato proprio sul miraggio di una rivoluzione fiscale e sul Godot della sburocratizzazione. Paradossale, no? Questo vale a Nord Est, dove la concorrenza dei paesi di corona, dalla Slovenia all’Austria, è formidabile. Il governatore friulano Renzo Tondo va dicendo da mesi che la vera emergenza del territorio è la sirena fiscale di Lubiana e Klagenfurt. Lo sa bene l’Austrian Business agency che dal suo ufficio di Padova non smette di ingolosire le imprese locali: 25% di imposta secca sulle società; convenzioni contro le doppie imposizioni; rimborso veloce dell’Iva; quasi tutti i costi deducibili; incentivi per investimenti produttivi fino al 25% e per ricerca e sviluppo fino al 50% e prezzi dei terreni industriali tra 25 e 50 euro al metro quadro. Un’incentivazione che a fine 2009 aveva già attirato quasi mille aziende. C’è la Danieli, sistemi per l’automazione, la Costan, frigoriferi industriali, la Fbs, bagni prefabbricati, e la Pcs, software per aziende ospedaliere. «Ma quelle che censiamo sono solo una piccola parte», confermano dall’Aba. Ad esempio la Durst Fototecnica a Lienz ha appena investito 15 milioni in un nuovo centro di Ricerca mentre altre 13 imprese, tra Information Tecnology e meccatronica, sono arrivate negli ultimi mesi, come la udinese Refrion (sistemi di riscaldamento).

L’energia a basso costo
Dall’ufficio Japti di Milano, l’azienda di promozione slovena, Lara Cernetic e Rok Oppelt lavorano per portare imprese italiane oltre Gorizia, offrendo un’imposta societaria al 20%; detrazioni fiscali fino al 40% degli investimenti in ricerca e sviluppo, una bolletta energetica di 40 punti inferiore alla nostra e incentivi a fondo perduto (14,5 milioni estesi al settembre 2011) che coprono fino al 40% delle spese per le pmi. Sono già arrivati in 600 tra cui la veronese Bonazzi con la Julon (vedi articolo a fianco), la Carrera Optyl, la Technical (stampaggio metalli), la friulana Fantoni e la Silografika del brianzolo Ernesto Nocera, che produce salviette per i vassoi dei ristoranti a Selo, mezz’ora di auto da Trieste. «Oltre al regime fiscale – conferma Nocera – in Slovenia gli addetti costano molto meno che in Italia nonostante siano qualificati».Insomma non siamo davanti a grandi imprese che diversificano, ma a piccole e Pmi che allungano l’indotto spostandosi in paesi più convenienti. È una emorragia, una “strafexpedition” alla rovescia cent’anni dopo. Non più militare ma economica. In attesa di un vero federalismo fiscale, l’Italia resta purtroppo un pachiderma sul fisco d’impresa. Nei paesi competitor, manovrando sul calcolo della base imponibile stanno già incentivando in via differenziata investimenti e insediamenti industriali. È lo spirito del nuovo europeismo: il superamento della vecchia statualità classica. Basta spostarsi 20 chilometri, per pagare molte meno tasse…

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20/10/2010 11:35

"Mi impediscono di crescere Allora vado in Romania"

Lo sfogo di un imprenditore: così il Comune non mi ha fatto creare 150 posti
MARCO ALFIERI
INVIATO A CALOLZIOCORTE (Lc)

«O si va all’estero o si muore, capite? La nostra è solo legittima difesa», tuona Walter Fontana, allargando la calata lombarda. A chi ha messo certe tasse, o non concede certi permessi, bisognerebbe dare un premio alla miglior legge per ammazzare le imprese italiane...». Insomma: restare (in Italia) è un po’ morire. Cinquantanove anni, di Calolziocorte (Lecco) - il paese di Michela Vittoria Brambilla - Fontana è il presidente della Pietro Fontana, impresa famigliare nata appena prima del boom economico (nel 1956) ed esplosa nei mitici anni Settanta della Terza Italia e dei distretti. A fondarla è Pietro, il papà di Walter e di Marco, i due titolari. Il primogenito Walter oggi si occupa di strategie e del commerciale; il minore, Marco (47 anni), è direttore tecnico e responsabile della produzione. Negli ultimi anni il recinto si è allargato imbarcando la figlia grande di Walter, Valentina, che si è fatta le ossa nella consulenza internazionale. In attesa del secondo figlio che si sta laureando a San Diego in Business Administration.

Un altro mondo rispetto ai tempi del Walter, entrato in azienda nel 1973 da perito meccanico. «Avrei voluto studiare – ammette - ma il lavoro era tanto e ci sarebbero volute giornate da 25 ore». La Pietro Fontana fa progetti di ingegneria e costruzione di stampi per case automobilistiche, il 90% dei ricavi viene dall’estero (la metà in Germania). Oggi fattura 73 milioni di euro, impiega oltre 500 addetti e lavora con i big: da Audi a Bmw, da Mercedes a McLaren fino a Ferrari e Daymler. Le scocche di alcune fuoriserie arrivano a Maranello direttamente da Calolziocorte. La svolta s’impone dieci anni fa, e monta insieme «all’incazzatura» - testuale - di Walter. Da stampi per l’automotive l’azienda si allarga all’assemblaggio dei veicoli di nicchia. Da qui la necessità di trovare nuovi spazi. Nel 2003 aprono uno stabilimento in Turchia, a Istanbul, «dove impieghiamo 250 addetti e abbiamo investito 30 milioni». Poi il secondo passo: «In primavera apriremo a Pitesti, in Romania, vicino allo stabilimento della Dacia». Pieno indotto automotive, dove si sta giocando una guerra forsennata: nel raggio di poche centinaia di chilometri producono Psa, Bmw, Kia, Volkswagen, Hyundai e Fiat.

«A Calolziocorte abbiamo invece mantenuto ricerca, sviluppo e progettazione. Ma abbiamo bisogno di allargarci lo stesso perché siamo passati dal movimentare stampi a movimentare pezzi stampati». Lo spazio è vitale e scatena il cortocircuito con le lentezze d’Italia. «Dieci anni fa ho comperato un terreno agricolo di 40mila mq nel comune di Bosisio Parini, ma l’amministrazione non mi ha mai concesso il passaggio ad area industriale per realizzare un nuovo impianto», si lamenta il titolare. La Pietro Fontana avrebbe creato 150 posti di lavoro. All’inizio «mi dissero che il Comune preferiva accorpare tutte le attività industriali in un’altra zona. Benissimo, pensai». Peccato che tutto è rimasto fermo. «Ci si scontra quotidianamente con giunte che non vogliono le aziende ma solo costruire residenziale o terziario», villette a perdita d’occhio come se la gente potesse comprarsi tre case a testa. «Oppure vogliono il verde, salvo poi lasciare l’erba alta e le ortiche», rincara l’imprenditore. E non si tratta di un po’ di fatturato in meno. In tempi di crisi e di mercati aperti ogni lasciata è persa, ogni autorizzazione che non arriva è un favore al tuo competitor dall’altra parte del mondo. «Ogni tanto mi sogno ancora l’ordine da 80mila carrozzerie per Magna Steyr a cui ho dovuto rinunciare l’anno scorso. Una commessa da 200 milioni in 5 anni. Non ce l’avrei fatta in questi spazi», rivela a malincuore Fontana. In Romania, invece, i problemi li risolvi in un giorno.

La differenza è molto semplice: «la gente ha fame di investimenti e se vede la possibilità apparecchia la tavola velocemente. Così hanno fatto in fretta e furia un censimento, la popolazione ha votato per darci subito la risposta. In un baleno abbiamo avuto a disposizione un’area di 40mila mq con cambio di destinazione d’uso. L’abbiamo acquistata e adesso stiamo costruendo il capannone», gongola il signor Walter. Morale: «un’impresa che vuol crescere è costretta a farlo all’estero» In Italia ci sono troppi costi. «Dobbiamo stampare pezzi in un posto e stivarli in un altro, spendendo oltre un milione di euro l’anno per affitti che potremmo dedicare agli investimenti, o a sostituire la catena logistica». La storia di Walter Fontana è persino banale se non fosse il primo anello di un calvario che sta portando all’emorragia. Troppe tasse, pigrizie, e capannoni rimasti sulla carta per anni.

Nel 2005 l’imprenditore lecchese ha scritto una lettera ai giornali locali per spiegare che «da quando c’è l’Irap i conti non tornano più. Un’azienda è destinata al declino o a scappar via. Noi come molte altre aziende italiane nel 2008 abbiamo pagato il 120% di tasse sull’utile generato, in Turchia sei tassato al 20 e in Romania al 16. Come si fa, sinceramente?» Non resta che l’estero. «Per ora ci dividiamo, ma è una scelta obbligata se non cambiano le cose», s’immalinconisce. «Se la politica non produrrà le condizioni per pagare le giuste tasse sull’utile. Oggi bastano 3 mesi per spostare un stabilimento. Non è l’opinione di Walter Fontana, ma di tantissimi imprenditori italiani...».

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21/10/2010 11:02


[mode ironico ON]

Ma non si possono riportare queste notizie false e tendenziose, lo sanno tutti che i padroni sono ladri e sfruttatori e più della metà dei soldi li fanno in nero!

[mode ironico OFF]




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(ma anche Ramarro Rurale, con il suo fedele servitore lo gnomo Corri Rorra, non scherza....)




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Dice il saggio: "Viajare descanta, ma se te parti mona te torni mona."




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21/10/2010 12:31

Ma questo "governo del fare" non avrebbe dovuto essere il paradiso per gli imprenditori?
O è solo il governo del "farsi" (le case ovunque e le escort dentro le case medesime)?

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21/10/2010 13:02

Re:
Avadoro, 21/10/2010 12.31:

Ma questo "governo del fare" non avrebbe dovuto essere il paradiso per gli imprenditori?
O è solo il governo del "farsi" (le case ovunque e le escort dentro le case medesime)?




Da oltre 16 anni di promesse (illusorie) ne hanno fatte fin troppe questi liberisti(libertini),
ma di fatti ben pochi:
la pressione fiscale sotto i vari governi Berlusconi è solo aumentata,
sfido i sostenitori del centro destra a dimostrarci il contrario. [SM=x44461]

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21/10/2010 13:43

Burocrazia e inefficienza bloccano novanta miliardi d’investimenti

Tra cantieri in stallo e permessi in ritardo si perdono ogni anno sei punti di Pil
MARCO ALFIERI
MILANO

Con 90 miliardi di euro si possono fare tantissime cose. Tagliare le tasse sulle imprese e sui redditi degli italiani; finanziare ricerca e innovazione; ridurre il gap infrastrutturale con l’Europa e rimpolpare i controlli e gli strumenti anti evasione fiscale. E’ una cifra monstre, farebbe gola a qualsiasi Paese, non importa la taglia.

L’Italia del debito pubblico abnorme paradossalmente ne dispone pronta cassa, ma li tiene sepolti sotto una montagna di burocrazia. Dall’infornata delle leggi Bassanini di fine Novanta, il primo tentativo di disboscare il ginepraio della nostra Pubblica amministrazione fino ai falò leghisti di Roberto Calderoli, la burocrazia resta la bestia indomabile di qualsiasi governo repubblicano.

Premessa. Nel computo di quota 90 non rientrano progetti sulla carta, sprechi inveterati (80 miliardi solo nella Pa), investimenti in divenire oppure la chimera dei 120 miliardi di evasione fiscale che ogni anno il Paese "regala" ai competitor. Neppure rientrano i 35 miliardi tra fondi Fas e fondi comunitari per costruzioni e infrastrutture di cui l’Italia è maglia nera non sapendo spenderli, perché il tiraggio è pluriennale (2007-2013) e il dato non sarebbe omogeneo.

Nella somma si tiene conto esclusivamente (e per difetto) di investimenti regolarmente stanziati, di risorse pronte da erogare e di pagamenti per prestazioni già fornite. Insomma soldi incagliati, nessun extracosto per l’erario, da gettare urgentemente nel circuito di una economia asfittica, dove le imprese scappano da tasse e burocrazia, e il massimo di riformismo ai tempi della crisi è di aver messo più risorse sugli ammortizzatori sociali (e sempre meno sugli investimenti). Nessun Paese al mondo può correre rinunciando ogni anno a 5-6 punti di Pil. Poi si può discutere di riforme di struttura o di politica industriale. Ma senza risolvere questo intoppo, ogni mossa appare velleitaria.

Partiamo allora dagli investimenti domestici di alcuni big player frenati dalla burocrazia e dai giri di valzer degli enti locali. Ogni cambio di colore politico toglie certezze persino agli adempimenti già approvati, rimettendo tutto in vorticosa discussione. Enel, sbloccata dopo 10 anni la costruzione della centrale di Porto Tolle (Rovigo), dopo 4 del rigassificatore di Porto Empedocle, e dopo 6 della centrale a biomasse di Laino Borgo (Cosenza), ha tuttora incagliato un grosso investimento (1,2 miliardi) di riconversione a carbone della centrale termoelettrica Policombustibile di Rossano Calabro. Insieme restano sospesi 400 nuovi posti di lavoro in una delle province più depresse d’Italia.

Il gestore della rete elettrica Terna ha invece da 3 anni 2 miliardi di investimenti bloccati in metà regioni italiane. Si tratta di 9 grandi elettrodotti fondamentali per la competitività del sistema Italia. Nel settore petrolifero, un recente paper di Assomineraria mette in fila ben 57 «progetti cantierabili arenati per difficoltà autorizzative», per un valore di 5 miliardi e un impatto occupazionale di 35 mila addetti/anno per la sola costruzione degli impianti. Di questi progetti 30 sono di Eni. Poi c’è l’annosa piaga dei ritardi di pagamento. I mancati incassi in Italia valgono 70 miliardi di crediti solo verso la Pa, di cui 40 in carico alle Asl (12 al Nord, 14 al Centro e altrettanti nel Mezzogiorno). Una montagna di soldi cresciuta del 71,5% dal 2003, al ritmo di 10 miliardi l’anno. Una stretta che genera penuria di liquidità e costi finanziari insostenibili per le Pmi. Quattro-cinque mesi di ritardo vogliono dire un terzo di interessi passivi in più, spingono a interrompere forniture, riducendo giro di affari e personale in un Paese in cui il 13,2% delle imprese è a rischio insolvenza.

Infine ci sono i piccoli cantieri bloccati. Il Patto di stabilità interno consente al governo di controllare il livello di indebitamento netto degli enti territoriali. Le regole sul triennio 2009-2011 fissano come parametro il saldo finanziario 2007, calcolato in termini di competenza mista, ma al prezzo di rendere iper complicata la trasformazione nei pagamenti. Non a caso è da mesi che l’Anci chiede la stipula di un nuovo patto che confermi l’obbiettivo del pareggio di bilancio e il miglioramento del saldo sulle partite correnti (calcolate sulla media degli ultimi 3 anni). Lasciando però più flessibilità sul lato investimenti. Per l’associazione dei Comuni deve valere la regola aurea della sostenibilità: chi ha le risorse per promuoverli proceda, al bando i vincolismi occhiuti.

Basta fare due calcoli per misurarne il beneficio. A fine 2007, infatti, ammontavano a 44 miliardi i residui passivi in conto capitale dei Comuni italiani, di cui un terzo (15 miliardi) immediatamente spendibili per opere di viabilità e trasporti, manutenzione del territorio ed edilizia scolastica. In realtà di questa massa 10 miliardi vanno computati nei ritardi di pagamento per opere già svolte, ma 5 sono pronta cassa per nuove opere pubbliche che il patto attuale impedisce. A loro volta le province italiane hanno in pancia 3,6 miliardi subito cantierabili. A cui va aggiunta una quota di risorse Cipe per le piccole opere: 3,4 miliardi di cui 1,5 già assegnati. Solo in teoria però, perché finora appena 30 milioni si sono trasformati in cantieri (edilizia scolastica in Abruzzo). Tutto il resto è fermo ai box causa burocrazia.

In sostanza, sommando alcuni dei principali investimenti di grandi gruppi in Italia ai ritardi di pagamento e ai cantieri bloccati sul territorio, si arriva appunto per difetto a quota 90 miliardi di euro. Soldi pronti all’uso, una vera manna per tutta l’economia. Il governo non deve metterci nemmeno un euro. Basterebbe un’autorizzazione…

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21/10/2010 21:22

Re:
Arjuna, 10/20/2010 11:34 AM:


Non delocalizzano ma spostano tutta l’attività. E non vanno in Cina ma in Svizzera, in Austria o in Slovenia. Il motivo non è solo il costo del lavoro ma piuttosto la ricerca di Paesi dove la pubblica amministrazione è veloce, efficiente e le tasse sono moderate Anche grazie a vere e proprie campagne promozionali studiate per attirare le aziende
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Uuh, buono, mi interessa!

Ma i motivi non sono solo quelli elencati, pubblica amministrazione e tasse ridotte.
Ci sono almeno altri due se non tre buoni motivi per fare il salto:

1 Il livello di istruzione e preparazione delle persone: non saprei per la Slovenia, ma di sicuro in Svizzera ed Austria è un'altra cosa

2 La ricaduta di immagine sul prodotto: ma volete mettere poter dire "queste sono viti svizzere" contro "queste sono viti italiane"? Ne vendo molte di più al doppio del prezzo!

3 Last but not least, la qualità di vita.

Dove si fanno le domande?





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21/10/2010 22:25

Re: Re:
Etrusco, 21/10/2010 13.02:




Da oltre 16 anni di promesse (illusorie) ne hanno fatte fin troppe questi liberisti(libertini),
ma di fatti ben pochi:
la pressione fiscale sotto i vari governi Berlusconi è solo aumentata,
sfido i sostenitori del centro destra a dimostrarci il contrario. [SM=x44461]





Anche se non sono un sostenitore del centrodestra posso darti la risposta?


Fonte: elaborazione Centro Studi Liberali su dati Istat.

Anno Entrate PIL Pressione fiscale
1980 69.938 203.383 34,4
1981 83.880 243.632 34,4
1982 107.228 287.552 37,3
1983 131.866 334.833 39,4
1984 145.753 382.831 38,1
1985 162.786 429.649 37,9
1986 184.598 475.031 38,9
1987 200.653 519.651 38,6
1988 229.407 577.455 39,7
1989 256.842 634.021 40,5
1990 293.255 701.352 41,8
1991 329.041 765.806 43,0
1992 364.534 805.682 45,2
1993 386.612 829.758 46,6
1994 392.373 877.708 44,7
1995 429.479 947.339 45,3
1996 458.361 1.003.778 45,7
1997 499.920 1.048.766 47,7
1998 504.326 1.091.361 46,2
1999 522.956 1.127.091 46,4
2000 540.421 1.191.057 45,4
2001 562.341 1.248.648 45,0
2002 576.898 1.295.226 44,5
2003 601.859 1.335.354 45,1
2004 619.227 1.391.530 44,5
2005 631.967 1.429.479 44,2
2006 680.991 1.485.377 45,8
2007 724.570 1.544.915 46,9
2008 731.944 1.572.243 46,6
(Dati in Milioni di euro)
Fonte: Serie Storiche Istat.

Qui per l'articolo completo.







[Modificato da orckrist 21/10/2010 22:26]

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Il più acerrimo nemico del Bremaz è Rurro Rurrerini.
(ma anche Ramarro Rurale, con il suo fedele servitore lo gnomo Corri Rorra, non scherza....)




Legionis praefectus more cinaedi communis currum regit.

"Siccome c'ho una certa immagine da difendere....."

Dice il saggio: "Viajare descanta, ma se te parti mona te torni mona."




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21/10/2010 22:33

Re: Re:
fabius039, 21/10/2010 21.22:



Uuh, buono, mi interessa!

Ma i motivi non sono solo quelli elencati, pubblica amministrazione e tasse ridotte.
Ci sono almeno altri due se non tre buoni motivi per fare il salto:

1 Il livello di istruzione e preparazione delle persone: non saprei per la Slovenia, ma di sicuro in Svizzera ed Austria è un'altra cosa

2 La ricaduta di immagine sul prodotto: ma volete mettere poter dire "queste sono viti svizzere" contro "queste sono viti italiane"? Ne vendo molte di più al doppio del prezzo!

3 Last but not least, la qualità di vita.

Dove si fanno le domande?






Concordo su tutto tranne che sul punto uno.
Qui il livello di istruzione e preparazione è molto buono (nonostante tutto ed almeno per ora) il problema è che nella maggioranza dei casi o non sanno che farsene oppure non li vogliono perchè "costano troppo"
(purtroppo capita di sentirsi dire la frase: "Mi dispiace lei è troppo qualificato.")



_________________

"Chi ha parlato, chi ca..o ha parlato? Chi è quel lurido str...o comunista checca pompinaro, che ha firmato la sua condanna a morte? Ah, non è nessuno, eh? Sarà stata la fatina buona del ca..o..."

Il più acerrimo nemico del Bremaz è Rurro Rurrerini.
(ma anche Ramarro Rurale, con il suo fedele servitore lo gnomo Corri Rorra, non scherza....)




Legionis praefectus more cinaedi communis currum regit.

"Siccome c'ho una certa immagine da difendere....."

Dice il saggio: "Viajare descanta, ma se te parti mona te torni mona."




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22/10/2010 00:44

Re: Re: Re:
orckrist, 10/21/2010 10:25 PM:



Anche se non sono un sostenitore del centrodestra posso darti la risposta?

Fonte: elaborazione Centro Studi Liberali su dati Istat.

Qui per l'articolo completo.




Io sono peggio di San Tommaso, e se posso controllo, specie quando i dati sono riportati di seconda mano. Anche a prescindere da eventuali manipolazioni maliziose, spesso ci sono dei veri e propri errori.
Ad esempio è clamoroso che nel grafico citato il governo Berlusconi attuale sembri iniziare nel 2007, invece del 2008! Una distrazione?

Dunque, i dati ufficiali Istat sono disponibili a tutti qui

Dal link di download si scaricano tutti i dati e le tabelle.
Il dato ufficiale (nota bene che non dico "vero", non lo so, però è "ufficiale") della pressione fiscale nei vari anni, ovviamente in percentuale del PIL, è nel propsetto 5, che qui riporto:

"Prospetto 5 - Pressione fiscale delle Amministrazioni pubbliche (a)
Anni 1980-2009 (in percentuale sul PIL)"

Anni Pressione fiscale

1980 31.4
1981 31.1
1982 34.1
1983 36.3
1984 34.9
1985 34.6
1986 35.0
1987 35.4
1988 36.6
1989 37.3
1990 38.3
1991 39.4
1992 41.9
1993 42.9
1994 40.8
1995 41.2
1996 41.6
1997 43.7
1998 42.3
1999 42.4
2000 41.6
2001 41.3
2002 40.8
2003 41.4
2004 40.6
2005 40.4
2006 42.0
2007 43.1
2008 42.9
2009 43.2


Le cifre sono diverse da quelle dell'articolo sopracitato. Perchè non lo so, ma queste sono quelle ISTAT.
Inoltre il dato è più aggiornato perchè include il 2009.

Infine, perdendoci non poco tempo, ho creato il grafico dell'andamento della pressione fiscale, sovrapponendo i periodi dei vari governi. Però nel fare questo ho fatto una correzione che credo giusta, ma accetto critiche.
Cioè siccome i dati ISTAT danno l'incasso dello Stato anno per anno, mi sembra evidente che l'effetto dell'azione di un qualsiasi governo può vedersi solo nell'esercizio successivo a quello in cui entrato in carica.

Con questo criterio risulta il grafico qui allegato.
Lascio poi ad ognuno di voi fare le proprie considerazioni, ma almeno facciamole su dati corretti (sperando che siano anche veri!)

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22/10/2010 00:55

Re: Re: Re:
orckrist, 10/21/2010 10:33 PM:



Concordo su tutto tranne che sul punto uno.
Qui il livello di istruzione e preparazione è molto buono (nonostante tutto ed almeno per ora) il problema è che nella maggioranza dei casi o non sanno che farsene oppure non li vogliono perchè "costano troppo"
(purtroppo capita di sentirsi dire la frase: "Mi dispiace lei è troppo qualificato.")




Forse mi sono espresso male dicendo:
Il livello di istruzione e preparazione delle persone: non saprei per la Slovenia, ma di sicuro in Svizzera ed Austria è un'altra cosa
In realtà volevo riferirmi non al lvello attuale delle persone che sono adesso inserite nel circuito del lavoro, ma alla qualità dell'istruzione e preparazione che oggi viene fornita ai giovani.
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22/10/2010 01:02

Re: Re: Re: Re:
fabius039, 10/22/2010 12:44 AM:



Le cifre sono diverse da quelle dell'articolo sopracitato. Perchè non lo so, ma queste sono quelle ISTAT.




In realtà forse una spiegazione c'è, ed è nella nota (a) della tabella che non avevo letto:

(a) Per il calcolo della pressione fiscale si prendono in considerazione le imposte dirette sul reddito e sul patrimonio, le imposte indirette sulla produzione e sulle importazioni, le imposte in conto capitale, i contributi sociali effettivi e i contributi sociali figurativi. Non sono invece comprese le imposte indirette di competenza dell'Unione Europea.Per l'incidenza delle singole componenti della pressione fiscale si veda la Tavola 15

Quindi mancano le imposte indirette di competenza dell'Unione Europea, e questo spiega le percentuali minori.
Tuttavia mi sembra giusto non considerare questa voce nel valutare l'impatto dei vari governi sulla pressione fiscale, essendo un carico fuori controllo.
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22/10/2010 09:08

Re: Re: Re: Re: Re:
fabius039, 22/10/2010 1.02:



In realtà forse una spiegazione c'è, ed è nella nota (a) della tabella che non avevo letto:

(a) Per il calcolo della pressione fiscale si prendono in considerazione le imposte dirette sul reddito e sul patrimonio, le imposte indirette sulla produzione e sulle importazioni, le imposte in conto capitale, i contributi sociali effettivi e i contributi sociali figurativi. Non sono invece comprese le imposte indirette di competenza dell'Unione Europea.Per l'incidenza delle singole componenti della pressione fiscale si veda la Tavola 15

Quindi mancano le imposte indirette di competenza dell'Unione Europea, e questo spiega le percentuali minori.
Tuttavia mi sembra giusto non considerare questa voce nel valutare l'impatto dei vari governi sulla pressione fiscale, essendo un carico fuori controllo.




[SM=x44462]

Ho riportato il link all'articolo perchè anch'io avevo fatto lo stesso ragionamento, salvo poi accorgermi della nota.





_________________

"Chi ha parlato, chi ca..o ha parlato? Chi è quel lurido str...o comunista checca pompinaro, che ha firmato la sua condanna a morte? Ah, non è nessuno, eh? Sarà stata la fatina buona del ca..o..."

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22/10/2010 11:24

Fabius, Orcokrist,
sono orgoglioso di voi e delle vostre brillanti argomentazioni [SM=x44459] [SM=x44462]
la discussione si sta facendo molto interessante! [SM=x44460]
[SM=x44515]

Comunque tornando ai nostri imprenditori, oltre alla pressione fiscale diretta, ci sono tutta una serie di altre tasse, imposte, costi della burocrazia +/- indiretti che fanno salire globalmente la pressione (non solo fiscale) oltre il 50%.
Il che rende l'Italia poco appetibile per gli investitori stranieri che vogliono creare nuove imprese, anche perchè qui da noi, oltre alla pressione fiscale più alta, il diritto societario fa acqua da tutte le parti (ed è quello che andrebbe riformato ben prima della giustizia ad Premier), un'azienda per recuperare un credito deve aspettare troppi anni, idem per beneficiare di incentivi/sgravi statali... ma persino per ottenere il permesso di aprire un semplicissimo casso carrabile! [SM=x44472]
D'altra parte in Polonia, ma anche in Svizzera come visto nella recente indagine di Report, gli imprenditori hanno molte più opportunità, agevolazioni, un ministero per lo sviluppo economico che lavora davvero a loro fianco, spianando ogni asperità burocratica e persino logistica!!! Cosa fa invece il nostro ministero omologo? [SM=x44465]

_________________


Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.
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22/10/2010 17:18

Re:
Etrusco, 22/10/2010 11.24:

Fabius, Orcokrist,
sono orgoglioso di voi e delle vostre brillanti argomentazioni [SM=x44459] [SM=x44462]
la discussione si sta facendo molto interessante! [SM=x44460]
[SM=x44515]





[SM=x44478]
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18/12/2011 14:14

LA LENTA E OPACA MACCHINA STATALE

Costa tanto produce poco

 

Nel momento in cui si chiede che i conti bancari dei cittadini, e quindi le loro vite, risultino totalmente trasparenti agli occhi dello Stato, diventa lecito chiedersi se lo Stato sia poi altrettanto trasparente, nel suo operare, agli occhi dei cittadini. Basta chiederselo per capire subito che non è così: l'opacità, non la trasparenza, caratterizza la macchina amministrativa nelle sue operazioni quotidiane.

L'opacità è tale che persino i ministri ignorano tanto di quella macchina. Si vogliono fare le privatizzazioni? Si vuole tagliare in modo intelligente (ossia, selettivo) la spesa pubblica? Si vogliono eliminare i sussidi alle imprese? Per fare queste cose occorrono vitali informazioni, bisogna conoscere la «macchina» dall'interno. Ma nemmeno il governo possiede quelle informazioni. Deve, prima di tutto, procurarsele. Ed è una operazione lunga, costosa, difficile, e probabilmente destinata all'insuccesso. Come mai? Da cosa dipende quella opacità? Perché lo Stato è una giungla impenetrabile? Perché è costituito da regolamenti e pratiche così complesse e barocche che solo i vecchi squali della burocrazia, gli amministratori di lungo corso, possiedono le capacità per muoversi in un simile ambiente, così oscuro e ostile per chiunque altro?

I cittadini attribuiscono di solito ogni colpa di ciò che non va, delle disfunzioni quotidiane di cui hanno personale esperienza, alla classe politica. Non sanno che la classe politica è per lo più priva di cruciali risorse (dalle informazioni alla expertise amministrativa) e che altre istituzioni sono di fatto, quando si tratta dei meccanismi quotidiani di funzionamento dello Stato, molto più potenti. Si dice: «Il Parlamento è sovrano». Ma queste sono solo parole. L'alta burocrazia, i vertici delle strutture regionali, la Corte dei conti, il Consiglio di Stato, contano assai più del Parlamento, e di qualunque governo, nella gestione della macchina amministrativa. Basta che scelgano di non cooperare, di fare resistenza passiva, e la classe politica viene ridotta alla impotenza.

Il politico eletto, diceva il sociologo Max Weber, è di fronte all'amministratore di professione nella condizione del dilettante. Ma qui siamo andati molto più in là. Non è più solo una questione di dilettantismo contro professionismo. È questione di una macchina statale autoreferenziale, che dispone degli strumenti (a cominciare dal monopolio sulla interpretazione delle regole amministrative) necessari ai fini della propria difesa e riproduzione.

Si badi che non sono solo in gioco interessi (l'interesse degli amministratori o delle magistrature amministrative a garantire l'incontrollabilità del proprio operare da parte di chiunque: governo, Parlamento, pubblica opinione). Pesano anche le tradizioni culturali. C'è un'intera cultura giuridico-amministrativa, cui danno un contributo essenziale tanti giuristi amministrativisti, che è quotidianamente mobilitata a difesa del mantenimento della complessità del sistema e, quindi, della sua opacità.

Se vogliamo chiederci quale sia l'ostacolo principale al rilancio della crescita dobbiamo indirizzare la nostra attenzione sul peso morto rappresentato da una macchina amministrativa incompatibile con le esigenze di un Paese moderno. Nessuno sa, ad esempio, di quanto potrebbe scendere la pressione fiscale complessiva se quella macchina diventasse meno inefficiente e dispendiosa.

La complessità e il barocchismo delle regole e delle procedure amministrative hanno potentissimi effetti negativi sulla società circostante: generano inefficienza, garantiscono tempi lunghi e anche lunghissimi agli interventi dello Stato (si pensi al settore delle infrastrutture), innalzano spaventosamente i costi economici, alimentano una condizione di incertezza giuridica che rende imprevedibili i comportamenti, impedisce la diffusione di rapporti reciproci di fiducia fra cittadini e amministrazioni, e funziona da moltiplicatore delle dispute. Gli amministratori si difendono dicendo che è comunque la politica a dettare le linee guida dei provvedimenti. Il che è vero. Ma sono loro a confezionare, e poi a interpretare, con il loro esasperato formalismo, quei provvedimenti.

Per fare un esempio, apparentemente marginale, consiglierei al neo-ministro dell'Università, Francesco Profumo, che è anche un mio collega, di leggere con attenzione le norme da poco varate che regolano certi concorsi (per esempio, i concorsi da ricercatore). Scoprirà che il loro effetto principale è di fare prosperare l'industria dei ricorsi, di dare tanto lavoro agli avvocati e ai Tar. Sono certo che se, dopo avere letto quei regolamenti iper-barocchi, il ministro ne chiedesse conto a chi li ha messi a punto nei dettagli, si sentirebbe dire che quei regolamenti rispondono alla esigenza di garantire la «legalità» e la correttezza dei concorsi. Niente di più falso. Quelle norme nulla possono pro o contro la correttezza. La loro assurda complessità garantisce solo l'incertezza del diritto, l'opacità dei procedimenti, la moltiplicazione delle dispute. Non c'è quasi nessun ambito in cui operi l'Amministrazione che non abbia queste caratteristiche.

Se la certezza del diritto è un fondamentale bene pubblico, allora è sicuro che il nostro sistema giuridico-amministrativo è congegnato in modo da garantire la perpetua indisponibilità di quel bene. Con costi altissimi per la società e benefici (in termini di opacità del loro operato) per gli addetti alla gestione quotidiana della macchina statale. Magari, quei giuristi amministrativisti che lavorano come consulenti dell'Amministrazione centrale e periferica qualche franca spiegazione sul perché ciò accade potrebbero forse darcela.
Viviamo in tempi di antiparlamentarismo trionfante e il mio potrà sembrare un auspicio controcorrente. Ma trovo che i partiti, alla disperata ricerca di un ruolo nell'epoca del governo Monti, potrebbero rendere una grande servizio al Paese. Potrebbero, e dovrebbero, promuovere una commissione di inchiesta parlamentare con il compito di indagare sull'operato dell'Amministrazione (organi della giustizia amministrativa inclusi) e di segnalarne tutte le disfunzioni. Se non altro, per consentire una discussione pubblica sulle vere cause del nostro declino.

18 dicembre 2011 | 9:31© RIPRODUZIONE RISERVATA Corriere della Sera
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