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La sindrome della Crimea

Ultimo Aggiornamento: 21/03/2011 18:26
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21/03/2011 16:52

Un tentativo di analisi dell'interventismo militare italiano
I recenti avvenimenti bellici, e le polemiche che si sviluppano sul ruolo militare italiano negli stessi, mi richiamano quanto imparato a scuola sulla guerra di Crimea, e la partecipazione alla stessa di quello che stava per diventare regno d’Italia, all’epoca ancora regno di Sardegna.
Siamo nel 1855, ma forse un riesame di questi avvenimenti ci può aiutare a dare una chiave di lettura agli eventi odierni, Libia, Afghanistan e quant’altro.

Un breve ripasso
Per chi, come me, ha concluso gli studi nel Giurassico, un breve ed approssimativo riassunto degli avvenimenti, rimandando i più curiosi a fonti autorevoli, come La guerra di Crimea , l’articolo su Wikipedia , o la stupenda riproduzione di un antico volume di memorie illustrato .Ricordo della spedizione sarda in oriente.

1854. Per motivi economici appena mascherati da risibili motivazioni religiose, Francia ed Inghilterra dichiararono guerra alla Russia, intervendo nel conflitto appena scoppiato tra questa e la Turchia. Dopo un anno di cruenti combattimenti, con enormi perdite da entrambe le parti (alla fine ammonteranno a 900 000 vittime, su un totale di 1 700 000 combattenti), il conflitto sembrava pendere decisamente verso la coalizione europea, e Cavour pensò di cogliere l’occasione per acquisire prestigio e meriti internazionali intervenendo nel conflitto, a metà del 1855. Furono inviati 15000/20000 uomini (a seconda delle fonti) che presero parte alla battaglia della Cernaia, con 23 caduti in combattimento, ma ben 2000 vittime del colera.
La mossa di Cavour ottenne comunque l’obbiettivo voluto, alla fine della guerra, maggio 1856, il piccolo stato piemontese potè partecipare alla conferenza di pace allo stesso livello, o quasi, dei maggiori stati europei dell’epoca, e mise le basi per avere sostegno internazionale nella lotta contro l’Austria per la riunificazione italiana.

Un modello da ripetere?
Sembra che questo modello di comportamento sia sempre rimasto ben vivo nella successiva storia d’Italia: guerra lontana, altri stati che la combattono per motivi economici, noi che partecipiamo più per “far bella figura” ed ottenere consensi dagli alleati che non per reali motivi diretti, una perdita di vite umane più o meno importante considerata accettabile.
Una volta ha funzionato, potrebbe funzionare ancora: è la sindrome della Crimea.

Si spiega così la nostra partecipazione all’occupazione dell’Afghanistan? stiamo facendo lo stesso percorso in Libia?

A dir la verità quest’ultimo conflitto è molto più vicino e ci coinvolge più direttamente, ma sembra che abbiamo avuto paura di assumere un ruolo attivo quando si poteva, quando non abbiamo fatto quanto in nostro potere ed interesse “per non disturbare”, e preferiamo rientrare in gioco al traino di altri, in maniera più confacente all’anzidetta sindrome di Crimea.

Ne guariremo prima o poi? Riusciremo mai ad essere o protagonisti consapevoli, in nome di un legittimo e pragmatico interesse, o a restarne del tutto fuori con chiare, condivise e motivate considerazioni?
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21/03/2011 18:26


Sembra che questo modello di comportamento sia sempre rimasto ben vivo nella successiva storia d’Italia: guerra lontana, altri stati che la combattono per motivi economici, noi che partecipiamo più per “far bella figura” ed ottenere consensi dagli alleati che non per reali motivi diretti




senza dimenticare Mussolini e la sua manciata di caduti italiani da gettare sul tavolo delle trattative di pace
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