L'arte tra Siena e Roma
L'emblema di Siena è una lupa romana con i gemelli nella classica posizione e la si trova sparsa per la città. E la leggenda che a fondare Siena siano stati Aschio e Senio, figli di Remo, fuggiti da Roma. In più, non la leggenda, ma la storia dice che le fortune di Siena e delle "terre di Siena" cominciarono con la via Francigena, il fascio di tracciati che dal Nord, dall'Europa portavano a Roma, alla città dei martiri e del principe degli apostoli.
Ancora oggi la via che entra a San Gimignano per porta San Giovanni è un pezzo della Francigena. E da Siena la voce e gli scritti di colei che diventerà Santa Caterina per riportare la sede del papato da Avignone a Roma (come avverrà nel 1376) e per scongiurare scismi nella Chiesa fino a morire di sfinimento a Roma. Ma poi Roma significa per l'arte di Siena l'obiettivo e la fonte di desiderio, ambizione e ispirazione di committenti, grandi famiglie, ricchi banchieri fattisi romani, collezionisti, eruditi, artisti, giù fino al Cinquecento e al Seicento quando tutte le scuole artistiche italiane (e non solo loro) guardavano a Roma.
Ecco allora questa mostra
"Siena & Roma. Raffaello e Caravaggio e i protagonisti di un legame antico" in programma dal 25 novembre al 5 marzo 2006 in Palazzo Squarcialupi a Santa Maria della Scala. %u0116 davanti al Duomo trecentesco, uno dei simboli del gotico senese su cui si è infilata una "scheggia di barocco romano" (non una ferita), la cappella del Voto con due statue del Bernini.
Il progetto della mostra è partito da Roma e così i curatori sono i soprintendenti delle due città, del polo museale romano, Claudio Strinati, e del patrimonio storico-artistico di Firenze, Bruno Santi (per 13 anni soprintendente a Siena). Catalogo Protagon Editori. L'iniziativa è del Comune (a cui appartiene Santa Maria della Scala) e della Fondazione e banca del Monte dei Paschi, con un investimento di poco superiore ai due milioni di euro.
Sono state riunite da mezzo mondo circa 170 opere fra le più diverse. Tavole e tele, disegni e acqueforti; sculture in marmo e bronzo dorato; tarsie lignee; mosaici e mosaici staccati; codici miniati, manoscritti e libri fra cui l'"Eneide" stampata nel 1541; miniature; reliquari e oreficerie liturgiche in argento, smalti, rame, legno policromo.
Il "legame antico" si sviluppa dalle immagini di Siena e Roma dal Medio Evo al XVII secolo, alla via Francigena (dai piccoli centri sono uscite molte sorprese), all'immagine di Roma nell'arte e nella cultura senese come identità storica e morale, agli eroi, eroine, episodi di storia antica nella tradizione iconografica senese; Agostino Chigi, il più famoso committente senese a Roma, ricchissimo e potente mecenate di Raffaello, nominato da Giulio II banchiere della Chiesa e rispettato banchiere in Europa, nominato "il Magnifico" dalla Repubblica di Siena; i pittori senesi a Roma nel XVII secolo e la committenza aristocratica, il mercato dell'arte fra tardo Cinquecento e metà Seicento; la chiesa di Santa Caterina dei Senesi in via Giulia. Chiude un senese settecentesco, personaggio sui generis: Ludovico Sergardi (Quinto Settano secondo la nomenclatura dell'Arcadia), medico, autore di satire, pittore, direttore della Fabbrica di San Pietro, amante delle donne, ideatore di feste per il carnevale. In mostra c'è un'acquaforte con la pavimentazione a grossi raggi di piazza San Pietro voluta da Sergardi.
La maggior impresa (e la più faticosa) della mostra è stata la riunione per la prima volta di dieci disegni di Raffaello, preparati per la loggia di Amore e Psiche nella villa della Farnesina (in grande maggioranza) e per la cappella Chigi in Santa Maria del Popolo e in Santa Maria della Pace. Due soli disegni vengono dall'Italia (Ambrosiana e Uffizi), uno da Bakewell (Gran Bretagna), tre da Dresda, Berlino e Colonia, due da Parigi (Louvre), due da Lilla. Tutti, ad eccezione di uno, rimarranno fino al termine della mostra.
Rutilio Manetti, Decapitazone di San Paolo, olio su tela, 1610 circa, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica
La Farnesina, sul lungotevere, era la più celebre dimora privata del Rinascimento, costruita (e dipinta) da Baldassarre Peruzzi, pittore e architetto senese, per Agostino Chigi, nel primo decennio del Cinquecento (ma il nome deriva dai Farnese, successivi proprietari). Uno dei motivi della fama era la loggia ideata da Raffaello e affrescata dalla sua bottega entro il 1518 con autori che sono ancora un bel problema per gli storici dell'arte (si fanno i nomi di Giulio Romano, Giovan Francesco Penni). Unica certezza Giovanni da Udine per i festoni estremamente accurati di fiori e frutta (alcuni tipi sono stati identificati come provenienti dal Nuovo Mondo) e soprattutto animali. Gli affreschi della loggia furono restaurati dal 1693 da uno dei più celebri pittori di Roma, Carlo Maratti, con un intervento giudicato dai moderni "esemplare", ma che venne eliminato nel 1930 insieme all'azzurro originale ed a molti particolari. La loggia è stata restaurata negli anni Novanta con un intervento scientifico diretto da Rosalia Varoli-Piazza dell'Istituto centrale del restauro.
Il ciclo pittorico di Psiche è stato pensato anche in funzione al romanzo d'amore fra Agostino Chigi e una giovane veneziana di modeste origini, che il banchiere aveva fatto rapire, educare in un convento, dalla quale aveva avuto quattro figli e che poi aveva sposato. I rapporti di Agostino Chigi con Raffaello furono molto stretti, curiosamente anche nei tempi della morte. Il banchiere sopravvisse di pochi giorni all'artista (morì l'11 aprile 1520, a 55 anni).
Agli affreschi della loggia si riferiscono anche quattro incisioni in mostra. "L'assemblea degli dei", un modello per la parte destra della volta, in cui Giove è senza barbone, di Gian Giacomo Caraglio. Tre per i pennacchi della loggia,"Amore e tre ancelle", "Giove e Amore", "Mercurio", di Marcantonio Raimondi, il grandissimo incisore bolognese, famoso anche per la stretta collaborazione con Raffaello (che spesso forniva i disegni) e di cui fu il più grande divulgatore.
Niccolò Tornioli, Cristo scaccia i mercanti dal tempio, olio su tela, Roma, Galleria Spada
Un altro grande artista è collegato ad Agostino Chigi. La stanza da letto alla Farnesina fu affrescata dal Sodoma (Giovanni Antonio Bazzi), vercellese di nascita, ma senese di formazione, di cui sono in mostra tre dipinti fra cui il grande tondo "Natività di Gesù" con l'insolita scena dell'angelo che letteralmente sostiene il San Giovannino.
Il Caravaggio del titolo sintetizza una delle più importanti stagioni artistiche fra Cinquecento e Seicento che presero l'avvio da Roma per l'Italia e l'Europa. Sono tre dipinti molto noti."La buona ventura" dalla Pinacoteca Capitolina, "Il Narciso" da Palazzo Barberini e "La musica" ("Suonatore di liuto") da collezione privata in deposito al Metropolitan di New York. Qualche dubbio è stato espresso sull'intera autografia del Caravaggio di quest'ultimo dipinto (ma quella "natura morta" di strumenti musicali non può essere stata fatta da altri) in rapporto alla versione con varianti del "Suonatore di liuto" dell'Ermitage. %u0116 uno dei "doppi" di Caravaggio che continuano a mettere in imbarazzo gli studiosi. Quest'ultima è anche l'opera che Agostino Chigi avrebbe voluto nel 1613, quando era rettore del Santa Maria della Scala, ma si dovette accontentare di una copia.
Caravaggio è l'occasione per conoscere numerosi pittori senesi noti e meno noti, fra fine Cinquecento e metà Seicento, fra Siena e Roma. Antiveduto Grammatica (sei dipinti in mostra), Bernardino Mei (quattro), Francesco Vanni (sei), Raffaello Vanni, Rutilio Manetti, Ventura Salimbeni, Francesco Rustici, Niccolò Tornioli, Valentin de Boulogne.
Grammatica deve il nome (secondo quanto riferisce Giovanni Baglione) alla premonizione avuta dal padre che sarebbe nato in viaggio, fra Siena e Roma. Nella sua bottega il Caravaggio lavorò per qualche mese prima di diventare il Caravaggio. Di Antiveduto c'è un "Trionfo di David" dallo schema originale: l'eroe solleva con una picca il testone di Golia che sembra più dormiente che mozzato. Di grande qualità pittorica, luminosa, la fanciulla bionda, bianco vestita, al centro della scena fra altri personaggi e che accoglie Davide agitando ramoscelli.
Dalle raccolte Chigi provengono la "Crocifissione di San Pietro" di Ventura Salimbeni e il suo pendant, la "Decapitazione di San Paolo" di Rutilio Manetti.
Salimbeni usa la Croce capovolta e in obliquo come spartiluce fra le due zone del dipinto. Quella di destra con due angioletti che recano la corona e la palma del martirio, sono in una nuvola di luce che frattura le nuvole nere e si riflette sul corpo nudo di Pietro le cui ombre scavano il torace ossuto mentre le mani perdono striscate di sangue. A sinistra due manigoldi completano l'opera fra luci e ombre. Manetti crea sullo sfondo una scena cupa, una città cinta da mura e torri, coperta di nubi fitte, rotta dai due angioletti che attendono San Paolo con i segni del martirio. I volti dell'apostolo e del carnefice sono nascosti in tutto o in parte dall'ombra.
Niccolò Tornioli e Valentin de Boulogne, uno dei più famosi caravaggisti, si confrontano sullo stesso soggetto, la cacciata dei mercanti dal tempio. Tornioli incrocia al centro della scena braccia, dita, facce urlanti fra luci e ombre violente e la elegantissima veste azzurra di Cristo dalle raffinate lumeggiature sulle pieghe del mantello. Valentin taglia la scena in diagonale. Cristo, a sinistra, in piena luce alza lo scudiscio che si perde nell'oscurità, e spinge un tavolo contro i mercanti ammassati
a destra e ne fa cadere un paio.
L'"impatto con suggestioni caravaggesche", i "raffinati passaggi cromatici", giallo-arancio dorato, grigio perlaceo, blu-viola, si ritrovano nella lunetta con la "Santa Cecilia morente" di Francesco Vanni eseguita per l'altare principale della cripta sottostante la basilica di Santa Cecilia in Trastevere dove si consumò la lunghissima agonia della martire. Dell'orribile ferita sul collo si percepisce molto poco per le cure delle due giovani donne che le asciugano il sangue.
Come detto una serie di sorprese viene dai piccoli centri del Lazio lungo la via Francigena, da opere inedite o che pochi conoscono, da pezzi raffinati anche se difficili come le oreficerie liturgiche. Della cattedrale di Montefiascone è in mostra una inedita scultura in marmo, alta circa un metro che raffigura Santa Margherita di Antiochia con un libro in mano, il capo che sembra turrito e per basamento un drago alato sconfitto. "Era nascosta ai fedeli e ai visitatori: è stata pulita e liberata di una improbabile croce di cartapesta e si è rivelata - osserva Tommaso Strinati che ha curato questa particolare sezione - per un pezzo molto bello della prima metà del Trecento, opera di un seguace di Nino Pisano, ma sensibile ad Arnolfo ed anche con una aria romana, classicheggiante". In mostra c'è una delle più importanti opere di arte toscana a Roma, il trittico del 1358 di Lippo Vanni, "Madonna con Bambino in trono tra due angeli, San Domenico e Santa Aurea" della pontificia università San Tommaso all'Angelicum.
Due pezzi emozionanti sono i frammenti di mosaici, datati 1198-1216, rari sopravvissuti dell'antica basilica vaticana che fu abbattuta all'inizio del Seicento. "Ecclesia romana", l'immagine elementare di una donna con una corona dalle grosse perle e un mosaico tondo con fasce concentriche blu intenso, azzurro, azzurrino che circondano una "Fenice".
La lupa romana appare in molti angoli di Siena ed anche in mostra compare sotto le specie più diverse, dal bronzo allo stagno dorato, dal marmo al bronzo dorato ed anche nei disegni e dipinti. Come nei "Lupercalia" famosa tavola del 1519 di Domenico Beccafumi (che diventerà uno straordinario manierista dai colori modernissimi). L'opera è dedicata alle feste romane di iniziazione del sodalizio dei Luperci in onore del dio Fauno. Mentre i giovani di entrambi i sessi si affrontano nelle corse rituali, in un angolo la lupa lecca la schiena di uno dei due gemelli poppanti (non si sa quale), particolare che è l'emblema della mostra.
Questa e l'altra tavola esposta di Beccafumi ("Vestalia") normalmente non sono esposte al pubblico perché appartengono al museo fiorentino di Casa Martelli che deve essere ancora aperto.
Un'altra primizia, questa volta un ritorno in Italia dopo tempo immemorabile, sono gli intarsi lignei realizzati nel 1430 circa dal Bernacchino (Mattia di Nanni) per gli stalli dei governanti nel Palazzo Pubblico di Siena e che erano posti sotto l'illuminazione della "Maestà" di Simone Martini. Tre provengono dal Canada, dal Museo di Belle Arti di Montreal e una dal Metropolitan, e raffigurano valorosi personaggi antichi, grandi esempi della storia di Roma.
Un'altra bella ricomposizione (più facile perché da una unica fonte) è quella fatta per la prima volta con i 17 bozzetti dei dipinti e affreschi della chiesa di Santa Caterina in via Giulia realizzata fra gli anni Sessanta-Settanta del Settecento per committenti senesi da quello che era il più celebre architetto a Roma, Paolo Posi, senese. Fra gli artisti Pietro Angeletti, Domenico Corvi, Tommaso Conca, Gaetano Lapis, Nicolò Lapiccola, Etienne Parrocel (di Lione, che italianizzò il nome in Stefano e dai contemporanei fu detto "Le Romain"). C'è anche il bozzetto di Laurent Pécheux "Santa Caterina da Siena guida il papa Gregorio XI nel suo ritorno da Avignone a Roma" (102,5 per 197 centimetri), trattato senza l'enfasi celebrativa caratteristica della pittura romana fra Seicento e Settecento, e che viene considerato un modello finito.
Jacopo della Quercia, dal borgo della Quercia Grossa vicino Siena (lo scultore della tomba di Ilaria del Carretto nel Duomo di Lucca), si è dedicato a "Rea Silvia" e "Acca Larentia" . Le due statue in marmo sono simili nell'atteggiamento, in piedi, alle prese con irrequieti Romolo e Remo: Rea Silvia è infatti all'origine di tutto perché ebbe i due gemelli da Marte e Acca Larenzia fu la loro nutrice.
C'è ancora tanto da decifrare e infatti sono in mostra anche per suscitare confronti, intuizioni, il Maestro di Lecceto (con cinque tavole con le storie di Didone, dal museo del Pétit Palais di Avignone), il Maestro delle Eroine Chigi Saracini (da Siena) con una variante di Cleopatra suicida, questa volta in piedi con un velo svolazzante e l'aspide che appoggia i dentini sul seno. E il Maestro di Griselda con tre tavolette (dalla National Gallery di Londra) che raffigura una coloratissima, affollata e mossa sequenza cinematografica con tre scene dall'ultima novella del "Decamerone". Cavalieri, dame e cavalli bianchi, sullo sfondo un arco antico a tre fornici decorato con teste di cavalli dorati e figurette danzanti sull'attico. Fra architetture e portici, passi danzanti che terminano in una tavolata e cavalcata.
Fra i grandi nomi non è possibile aggiungere quello di Ambrogio Lorenzetti presentato con una copertina di Biccherna del 1344, le pratiche dell'ufficio finanziario della Repubblica di Siena. La scena (42 per 25 centimetri) è tolta dall'"Allegoria del Buon Governo" affrescata da Ambrogio nel Palazzo Pubblico nel Campo, con un vecchio in trono che rappresenta il Comune e ai piedi lupa e gemelli. Data la diversa qualità fra affresco e Biccherna si ritiene che sia molto difficile che Ambrogio, celebre e ricercato, abbia perso del tempo a dipingere un prodotto in tutti i sensi modesto, a sei anni dalla realizzazione dell'affresco che lo ha ispirato.
Raffaello e Caravaggio. I grandi nomi del titolo sono esauriti, ma ecco un ospite d'onore imprevisto, foriero di fruttuose polemiche fra gli studiosi e per la mostra: Donatello (con tutte le precauzioni e la prudenza obbligatorie all'apparizione di tale nome). Si tratta della lastra di marmo (126,5x74,5 centimetri) raffigurante la Madonna fra tredici cherubini in atto di porgere due corone. Dovrebbe appartenere ad una grande lunetta con la triplice incoronazione di Caterina da Siena, parte del monumento sepolcrale eretto intorno al 1430 nella basilica romana di Santa Maria sopra Minerva dove è il corpo della santa (meno la testa e un dito), monumento poi smembrato nel 1573-79.
L'opera riconosciuta di Donatello da Federico Zeri nei primi anni '90, è stata presentata a Roma in una giornata di studio nel giugno scorso (e poi al pubblico per due giorni a Palazzo Venezia in ottobre) da Giancarlo Gentilini dell'università di Perugia, e da Marco Pizzo del Museo del Risorgimento di Roma, suscitando l'entusiasmo di Antonio Paolucci, soprintendente per il polo museale fiorentino. E la prudenza o perplessità di altri studiosi che riconoscono l'ideazione di Donatello, ma non la fattura. Questa di Siena è la prima mostra in cui la lastra viene presentata ad un esame (si spera ravvicinato) e diffuso. Insomma è l'occasione per sostenitori e detrattori per uscire allo scoperto.
Notizie utili - "Siena & Roma. Raffaello, Caravaggio e i protagonisti di un legame antico". Dal 25 novembre al 5 marzo 2006. Siena. Palazzo Squarcialupi, Santa Maria della Scala. A cura di Bruno Santi, soprintendente per il patrimonio storico-artistico di Firenze e Claudio Strinati, soprintendente speciale del polo museale di Roma. Siena. Promossa dal Comune di Siena, dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena e dal ministero per i Beni e le attività culturali. Catalogo Protagon Editori.
Orari: tutti i giorni, compresi festivi, 10,30 - 19,30.
Biglietti: intero 9 euro, ridotto 7, studenti 2,50. Biglietto integrato mostra e complesso museale di Santa Maria della Scala 10 euro. Gruppi e scuole Civita Servizi
02-43353522. Biglietteria e prenotazioni
www. ticket. it ;
Parcheggi Santa Caterina e Stazione Ferroviaria (al centro della città) riduzione del 50% ai possessori del biglietto di ingresso alla mostra (coupon alla biglietteria della mostra). Trasporto gratuito dai due parcheggi per i possessori del biglietto di ingresso alla mostra. Viaggio di ritorno Siena-Firenze gratuito per la giornata della visita alla mostra (biglietteria "Train", piazza Gramsci a Siena).
Per soggiorni week-end, visite guidate di Siena, biglietti particolari per muoversi in Siena, itinerari e pacchetti nelle "terre di Siena" informazioni e prenotazioni Centro servizi turistici apt Siena 0577-280551 - 45900; fax 0577-270676 ; [URL=incoming@terresiena.it]incoming@terresiena.it