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Geopolitica

Ultimo Aggiornamento: 01/01/2014 20:21
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24/04/2011 14:14

Una voce da Casablanca
JOUAHRI: "STABILITA' GARANTITA DAL RE"

"I 7 punti annunciati da Mohammed VI sono una vera e propria 'Road map' verso la separazione dei poteri. Al di là delle norme che scaturiranno dalla nuova Costituzione, la stabilità del Paese non è né rischia di esser messa in discussione". Lo dice Mohamed Jouahri, direttore generale del gruppo "Maroc Soir", che edita due quotidiani e tre settimanali in francese e in arabo.
"La Corona è da 12 secoli il collante dello Stato marocchino, e tale rimarrà. La monarchia incarna poi l'istituzione 'Imarat Al Mounine', la commenda dei credenti, un simbolo di grande valore".

"PROBABILE VOTO ANTICIPATO"

"Le elezioni politiche dovrebbero svolgersi nel 2012, ma i cambiamenti che saranno introdotti dalla nuova Costituzione non potranno essere ignorati.
Spetterà comunque alla classe politica decidere se anticipare il voto".
L'attuale governo, che vede insieme destra e sinistra, è un'anomalia o una formula valida anche per il futuro?
"La contrapposizione destra/sinistra non è così netta, in Marocco come ad altre latitudini. L'alleanza tra socialisti, ex comunisti e nazionalisti risale agli anni '90 e ha una valenza strategica. Sarà la Storia a giudicarla, nel bene o nel male".
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24/04/2011 18:03

"RISPOSTE PER IL SAHARA OCCIDENTALE"

La nuova Costituzione potrà favorire la fine dell'annosa controversia sul Sahara occidentale?
"La questione, peraltro artificiosa, del Sahara occidentale, in cui la presenza algerina è più che tangibile, fa parte a pieno titolo della revisione costituzionale".
"Il discorso del 9 marzo ha preannunciato ampie forme di autonomia per le province del Sud. E lo stesso sovrano aveva già messo in chiaro che anche le province del Sud sono coinvolte nel processo di regionalizzazione spinta".

JOUAHRI:"IL MAROCCO NON E'LA TURCHIA"

"Il dibattito sulla laicità dello Stato è in corso da qualche tempo, ma non occupa nella società uno spazio così centrale come alcuni sostengono".
"Anzi, credo che l'argomento abbia perso parte del suo peso, specie se si guarda a quanto le questioni religiose siano preminenti nella politica di alcuni Paesi europei".
"Qualcuno in passato ha paragonato il partito islamico Pjd all'Akp di Erdogan ma il Marocco non è la Turchia. Le dinamiche, le traiettorie politiche e gli obiettivi perseguiti dai due partiti rendono il paragone azzardato", conclude Mohamed Jouahri.
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24/04/2011 21:11

Frammentazione politica
Il Marocco conta 34 partiti politici, record di pluralismo nel mondo arabo.
Ogni formazione ha consegnato le sue proposte di riforma costituzionale ad Abdeltif Menouni, il presidente della Commissione voluta dal re.
In linea di massima tutte le compagini hanno accolto l'iniziativa di Mohammed VI con grande favore.
Molto più guardingo si mostra invece il Movimento del 20 febbraio, per cui il nemico da abbattere non è il potere che detiene il re, ma "l'élite corrotta che non ha alcuna intenzione di rinunciare ai suoi privilegi", come ha spiegato recentemente un portavoce.


Per anni lo schema politico ha visto da una parte i conservatori nazionalisti del partito Istiqlal (Indipendenza) e dall'altra i socialisti dell'Usfp, storico movimento di opposizione ai tempi di Hassan II.
Oggi i due partiti, in calo di consensi, danno vita a una maggioranza di governo eterogenea, che comprende anche ex comunisti ed ex socialdemocratici.
Gli islamici del Pjd erano fino a qualche anno fa una forza emergente, intransigente e anti-occidentale. Diventati il primo partito del Paese, sono ancora all'opposizione, ma hanno sposato una linea politica più morbida.
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25/04/2011 00:08

PASSI AVANTI PER I DIRITTI UMANI

Prima ancora del discorso alla Nazione, ma subito dopo le proteste di piazza, Mohammed VI aveva lanciato un primo segnale distensivo, istituendo il Consiglio Nazionale per i diritti umani.
Al contrario del precedente Consiglio consultivo, fondato nel 1990, la nuova struttura dispone dei mezzi per funzionare efficacemente. Attraverso gli uffici regionali potrà compiere indagini, anche in via preventiva, sia autonomamente che su segnalazione dei cittadini.
Altra novità: dei suoi 30 membri, 11 saranno nominati dalle organizzazioni governative, 8 dai due rami del Parlamento e 8 dal re.

Il fatto più rivoluzionario risiede nella persona che il re ha scelto come presidente: Driss el Yazami ha vissuto due terzi dei suoi 59 anni in esilio in Francia, dov'è stato segretario generale della Federazione internazionale delle Leghe per i diritti umani.
L'organizzazione Freedom House colloca il Marocco tra i Paesi "parzialmente liberi", e gli assegna il voto 5 (su 7, ma il voto più alto è 1) per i diritti politici e 4 per le libertà civili.
Discrete la libertà di parola e stampa e la condizione femminile: l'attuale governo conta 7 donne su 34 ministri. Il vero neo resta la questione sahrawi.


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25/04/2011 11:14

IL PLACET DELL'OCCIDENTE

Il percorso avviato da Mohammed VI viene salutato con favore dalle cancellerie occidentali, cui Rabat è vicina.
Hillary Clinton, segretario di Stato Usa, vede nel Marocco il "capofila del cambiamento democratico, in un momento cruciale per il mondo arabo" e approva l'approccio "realistico e pragmatico" alla questione sahrawi.
Persino Madrid, opposta a Rabat nell'annosa contesa sulla sovranità del Sahara Occidentale e delle enclave di Ceuta e Melilla, sottolinea le "doti da vero leader" di Mohammed VI, mentre il francese Sarkozy loda la "lungimiranza e la saggezza di Sua Maestà".


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25/04/2011 22:57

Non è un giudizio di merito, ma una semplice constatazione, che le monarchie (costituzionali) sono più aperte ai cambiamenti, e più sensibili alle richieste del popolo, dei regimi apparentemente elettivi ma dove al comando resta da decenni una sola persona.

Evidentemente si preoccupano della sostenibilità a lungo termine della forma di governo e della successione dei loro discendenti, cosa che non ha mai interessato i dittatori e tiranni assoluti, qualunque fosse la forma costituzionale.

In effetti non mi viene in mente nessun capo "carismatico" che sia mai risucito a trasferire il potere ad un discendente.
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28/04/2011 23:13

Il Marocco smbrava l'unico paese nordafricano avviato ad una pacifica democratizzazione, e invece..


Attentato a Marrakesh: kamikaze in un bar, 15 morti

Dieci stranieri uccisi, tra cui un inglese e sei francesi. Farnesina: 'Per ora nessun italiano'

28 aprile, 20:16



ROMA - Sono 17 i morti accertati dell'esplosione avvenuta oggi in un caffe' della piazza principale di Marrakesh e al momento non risultano vittime italiane. Lo apprende l'ANSA da fonti della Farnesina. Le stesse fonti fanno sapere come siano in gran parte turisti stranieri le persone coinvolte. Il vice console onorario italiano a Marrakesh, si apprende dalle stesse fonti, ha gia' visitato l'edificio sventrato dall'esplosione nel centro della citta' marocchina e si e' recato all'ospedale dove vengono trasportate le vittime e i feriti. Al momento si esclude il coinvolgimento di italiani. Il bilancio della strage sembra comunque destinato ad aumentare.

MINISTERO INTERNO, ATTO TERRORISTICO, KAMIKAZE SI E' FATTO ESPLODERE - Il ministero dell'interno marocchino, citato dalla tv Al Arabiya, ha detto che l'esplosione in un caffe' di Marrakesh e' dovuta a un atto terroristico e criminale. La tv Al Arabiya, citando fonti della polizia, ha riferito che vi sono ''europei'' fra le vittime dell'attentato a Marrakesh. Il corrispondente dell'emittente panaraba ha riferito che sul luogo della strage la polizia ha mostrato ''passaporti europei''. La tv ha confermato che quasi tutte le vittime sono ''straniere''. L'esplosione, ha riferito ancora Al Arabiya, e' stata ''molto potente'' e vi sono brandelli di corpi sparsi per un ampio raggio.

TESTIMONE, STRAGE IN TERRAZZA CAFFE' META TURISTI - L'esplosione è avvenuta nella terrazza panoramica del 'caffe' Arganà, una delle principali mete turistiche di Marrakesh nella nota piazza 'Jemaa el Fna'. E' quanto riferisce - in collegamento telefonico con SkyTg24 - Matteo Ajello, chef italiano che si trova nella città marocchina. "Stanno portando via i morti ed i feriti, ci sono danni ingenti", aggiunge Ajello riferendo su quanto sta avvenendo dopo l'esplosione che ha causato, secondo le ultime notizie, 17 morti e numerosi feriti.

2 FRANCESI E 1 INGLESE TRA VITTIME - Ci sarebbero due francesi ed un cittadino britannico tra le vittime dell'attentato di oggi a Marrakesh, in Marocco: lo scrive il sito internet del quotidiano francese La Figaro. Sempre secondo Le Figaro, le due vittime francesi sarebbero originarie di Marsiglia, nel sud del Paese. Una violenta esplosione al caffé Argana, sulla grande piazza di Marrakech, in Marocco, ha causato oggi la morte di almeno 14 persone, di cui la maggior parte turisti. Il racconto di un giornalista del settimanale L'Express, presente sul posto al momento dell'attentato, indica che l'esplosione si è verificata intorno alle 11:50 locali. "Siamo tutti sobbalzati - scrive sul sito web del settimanale -, poi del fumo nero si è alzato sul ristorante e sul suk. Immediatamente le persone si sono radunate davanti all'edificio, mezzo distrutto. Il piano terra e la terrazza del primo piano - aggiunge - sono state estremamente danneggiate dall'esplosione".

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07/01/2012 12:46

Perché l'Iran fa così paura
Per molti, questi giorni di vacanze singhiozzate sono stati l'occasione per allontanare lo sguardo dai giornali, dagli allarmi dell'economia, dal sangue che puntualmente imbratta le pagine di politica estera relative a nord Africa e Medio Oriente. Per questo, non tutti hanno seguito gli eventi che in pochi giorni hanno portato a livelli preoccupanti la tensione tra Iran e Stati Uniti.


Il 28 dicembre, mentre noi spazzolavamo gli avanzi del panettone, il vicepresidente iraniano Mohamed Reza Rahimi annunciava di essere pronto a chiudere lo stretto di Hormuz, da cui transita il 40% di tutto il petrolio venduto al mondo ("più facile di bere un bicchier d'acqua", sono state le sue esatte parole). Noi ci preparavamo a stappare lo spumante, e intanto Barack Obama ufficializzava nuove sanzioni contro le istituzioni finanziarie che intrattengono rapporti con la banca centrale iraniana. Infine, nelle ultime ore, la Marina iraniana ha portato a termine la fase finale dei dieci giorni di esercitazioni militari, culminate con il test di nuovi missili antiaereo e antinave, alcuni dei quali sarebbero in grado di sfuggire all'occhio dei radar statunitensi. Quest'ultima esercitazione, in cui veniva simulato il blocco dello stretto di Hormuz al traffico militare e civile, è stata intesa come una sorta di rappresaglia contro sanzioni statunitensi, che tra le altre cose hanno avuto il drammatico effetto di far crollare il valore del rial, moneta ufficiale iraniana.

Fra gli esperti di geopolitica quasi tutti sono pronti a scommettere che quella di Teheran sia solo un'esposizione muscolare che nasconde una sostanziale incapacità di sostenere un nuovo conflitto nel Golfo Persico (al punto che, dal Ministero degli Esteri Iraniano, è trapelata l'indiscrezione secondo cui l'ayatollah non avrebbe intenzione di bloccare lo stretto di Hormuz, mossa che darebbe sicuramente il via a un conflitto). Eppure, da qualche tempo lo sviluppo militare e scientifico del paese "cerniera tra mondo arabo e asiatico" è sotto l'occhio dei riflettori. Vediamo perché.

Fino a 15 anni fa, l'Iran aveva una produzione scientifica in linea con quella di paesi come l'Iraq e il Kuwait, con circa 700 paper pubblicati ogni anno. Oggi, mentre Iraq e Kuwait faticano a spostare l'assicella di qualche tacca più in alto, la Repubblica Islamica dell'Iran sforna articoli scientifici a ritmo serrato, arrivando a toccare quota 13mila paper all'anno e posizionandosi come il paese con la più rapida crescita scentifica dell'ultimo decennio.

Com'è facile prevedere, i traguardi più noti (anche perché più pubblicizzati), sono quelli raggiunti in campo bellico e, soprattutto, nucleare.

Lo scorso novembre la International Atomic Energy Agency (Iaea) ha pubblicato un rapporto in cui illustra dati che suggeriscono che dal 1998 al 2003 l'Iran abbia lavorato alla costruzione di armi atomiche. L'agenzia ha anche fornito dati che rivelano un programma di arricchimento dell'uranio al 20% (non sufficiente a produrre bombe, ma comunque contrario a quanto richiesto dalle Nazioni Unite), ma non è riuscita a raccogliere notizie certe sull'intenzione del governo iraniano di produrre armi nucleari. Gli unici possibili indizi si riscontrano in alcuni programmi di ricerca che potrebbero essere complementari alla produzione di armamenti nucleari (come un sistema che permette alle bombe di esplodere a mezz'aria). Insomma, la stessa Iaea evidenzia che se anche c'è stata una corsa agli armamenti iraniana, dal 2003 è stata enormemente rallentata e la produzione nucleare è ancora a un stato rudimentale.

Un discorso diverso vale invece per i progressi compiuti nell'ambito della fisica nucleare. Attualmente l'Iran è il settimo produttore di esafluoruro di uranio e giusto ieri ha annunciato di aver prodotto la prima barra di combustibile interamente iraniana. Inoltre, partire dallo scorso febbraio è il sesto paese al mondo a disporre di un dispositivo nucleare IR-IECF.

Sul fronte dello sviluppo bellico, dal 1988 (fine della guerra con l'Iraq) ad oggi, il paese dell'ayatollah Khamenei si è concentrato nello sviluppo del comparto missilistico. I missili della discordia, che nelle ultime ore hanno debuttato nei pressi dello stretto di Hormuz, sono un missile superficie-mare (Qadar) e uno superficie-superficie (Nour), che hanno un raggio d'azione a lunga gittata (200 km) e una certa capacità di sfuggire al rintracciamento radar. Ma a far paura alle nazioni nemiche dell'Iran (e Israele, in particolare) sono i missili superficie-aria come il Mehrab, ma soprattutto, i missili balistici a lunga gittata come il Shahab-3. Quest'ultimo ha un raggio d'azione che può toccare i 2mila km e colpire qualsiasi paese del Medio Oriente. Si tratta di missili estremamente potenti, capaci di trasportare testate chimiche e nucleari. Le varie agenzie di intelligence non sono riuscite a stimare con esattezza il peso di questi missili balistici all'interno dell'arsenale iraniano: c'è chi sostiene che la Marina Iraniana non abbia più di una ventina di missili, chi è pronto a giurare di contarne più di 300, chi ancora arriva a scommettere anche sulla presenza di Shahab 4 o modelli superiori, la cui gittata si spinge invece sopra i 6mila km.

Ma dal momento che stiamo parlando dello sviluppo scientifico iraniano e non del suo arsenale di guerra, sarebbe ingiusto non riconoscere alla nazione mediorientale i traguardi raggiunti negli ultimi anni in svariati ambiti. Innanzitutto, l'Iran ricopre un ruolo significativo in campo chirurgico, sono infatti iraniani gli esperti che hanno sviluppato un nuovo trattamento neurochirurgico, che ha permesso alla politica americana Gabrielle Giffords di riprendersi dopo aver ricevuto una pallottola in testa. In ambito biotecnologico gli scienziati iraniani si sono distinti per la progettazione dei primi impianti bio-oculari e nella produzione di anticorpi monoclonali terapeutici. Non solo, la Repubblica Islamica dell'Iran ha raggiunto notevoli traguardi anche in campo robotico, nella produzione di microscopi a effetto tunnel e nella produzione di supercomputer. Gli enti di ricerca iraniani hanno collaborato a Lhc e alla produzione dell'acceleratore di particelle giordano Sesame, inoltre, entro il 2017 l'Iran programma di spedire il suo primo astronauta in orbita.

Tuttavia, nonostante la variegata estensione del progresso scientifico iraniano, la nazione guidata da Mahmud Ahmadinejad conquista le prime pagine per motivi molto meno lusinghieri. Anche oggi, la situazione non accenna a raffreddarsi. Dopo aver concluso la pioggia di missili nella simulazione di ieri, infatti, in queste ore il Comandante in Capo delle Forze Armate iraniane, Ataollah Salehi, ha caldamente invitato gli Stati Uniti a tenere la propria portaerei, che attualmente naviga nel Golfo dell'Oman, lontana dal Golfo Persico, e di non farselo ripetere due volte.

Scritto da Wired.it | Wired – mer 4 gen 2012
it.notizie.yahoo.com/blog/wired/perch%C3%A9-il-progresso-scientifico-iran-fa-paura-093237105...
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L’UCRAINA SERVE COME BASE MILITARE NATO




Una notizia positiva degli ultimi giorni ha riguardato la sospensione dei negoziati per l’annessione dell’Ucraina all’unione Europea. Stavolta è stata la stessa UE a cercare orgogliosamente di assumersi la diretta responsabilità della rottura, adducendo a pretesto le “infondate” richieste economiche del governo ucraino.



UcrainaL’Ucraina è strangolata da un enorme debito pubblico, che è sotto la “sorveglianza speciale” da parte di uno dei due veri padroni dell’UE, e cioè il Fondo Monetario Internazionale. Il FMI pretende anche che il governo ucraino elimini i sussidi alla popolazione per il riscaldamento, cosa che rende poco attendibili le frenesie occidentalistiche delle piazze ucraine. Sarà pure vero che tra le lusinghe della UE ci sarebbe stata anche quella di favorire un accordo con il FMI per il debito ucraino; ma, vista la brutta fine che fanno i “sorvegliati speciali” del FMI, è molto difficile che la promessa risulti credibile.
Molti commentatori insistono nel presentare un’Ucraina ormai aperto terreno di scontro tra la Germania e la Russia; ma, considerando l’enorme volume d’affari tedesco con la stessa Russia, si spiegherebbe semmai il fatto che la cancelliera Merkel appaia oggi come la più prudente ed esitante nell’alimentare lo scontro polemico con Putin. Al contrario, non appare per niente prudente l’atteggiamento statunitense, al punto che si è potuto vedere il senatore McCain esibirsi a Kiev, agitando la piazza e promettendo pieno sostegno alle proteste filo-UE.
La retorica europeistica può servire di volta in volta da paravento per gli interessi bancari rappresentati dal FMI, oppure per gli obiettivi espansionistici della NATO, l’altro padrone della UE. Ancora prima di McCain, era infatti stata la stessa NATO ad esporsi platealmente per fare pressione sul governo ucraino. Il vicesegretario generale della NATO, Vershbow, uno statunitense, si è sciolto anch’egli in accorati inni di fede europeistica, garantendo che il futuro dell’Ucraina sarebbe in Europa.
L’Ucraina è attualmente legata alla NATO da un patto di collaborazione, ormai decennale, ma si tratta evidentemente di annettere in modo definitivo una preziosa area di confine all’apparato militare USA in Europa. Con basi navali in Ucraina, la USNavy potrebbe controllare il Mar Nero da entrambe le sponde, e portare così contro la Russia una pressione militare decisiva per realizzare l’obiettivo di smembrarla in più Stati. I moniti della NATO sono espliciti: l’Ucraina è ad un bivio, deve scegliere se “civilizzarsi” entrando a pieno titolo nel Sacro Occidente, oppure rimanere all’ombra della tutela russa rischiando di esporsi alle aggressioni finanziarie ed alla cronica destabilizzazione interna delle “rivoluzioni colorate”.
Il concetto di “rivoluzione colorata” non va frainteso nel senso che oggi la piazza ucraina sia tutta invasa da agenti della CIA. Le rivoluzioni colorate spesso fagocitano e mobilitano sacche di malcontento reale, e ciò viene ottenuto attraverso l’azione di organismi ibridi e ambigui, come fondazioni private ed organizzazioni non governative, associazioni che operano apparentemente nel settore della beneficenza e dei diritti umani. Il sistema di mobilitazione può basarsi anche sulla denuncia di casi di effettiva corruzione. Un’indignazione autentica viene poi reindirizzata su falsi obiettivi di “occidentalizzazione”, spacciata come sinonimo di buona amministrazione.
usascudoantimissileeuroparussiaSulla questione Ucraina Putin non può permettersi di cedere, perché altrimenti rischierebbe di essere travolto da un colpo di Stato militare. La situazione in Ucraina ha qualche analogia con quanto accaduto in settembre per la Siria, quando la Marina russa ha fatto chiaramente capire di non essere disposta a rinunciare alla base navale siriana di Tartus.
La dipendenza energetica dell’Ucraina nei confronti della Russia è un dato storico, ma per Gazprom in questi anni l’Ucraina era stata soprattutto un pollo da spennare, e quindi gli aspetti della sicurezza russa erano stati sacrificati agli affari. Che qualcosa invece oggi stia cambiando nell’atteggiamento russo, è indicato anche dal fatto che per l’Ucraina Putin si è deciso ad aprire i cordoni della borsa, sia facendo sconti sulle forniture di gas, sia acquistando titoli di Stato ucraini.
Ma è molto difficile che la NATO consideri chiusa la partita e rinunci a destabilizzare l’Ucraina, che non serve solo come base navale, ma anche come base missilistica. Appena il mese scorso, il segretario di Stato USA, Kerry, ha ribadito che lo “scudo anti-missile” in Europa si farà, nonostante ogni opposizione russa. Attualmente è la Polonia ad essere individuata come principale sede del sedicente “scudo”, ma solo perché l’Ucraina non fa ancora parte a pieno titolo della NATO. FONTE


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