CENTRO-DESTRA, CENTRO-SINISTRA, CENTRO STORICO: TUTTI AMANO DANTE FERRETTI
ARBASINO, LELLA BERTINOTTI, CARLA FENDI, ALBA PARIETTI, CLIO GOLDSMITH, CARRARO
AL PARTY PER IL GRANDE SCENOGRAFO MARIA ANGIOLILLO SALTA AL COLLO DI RUTELLI
Gabriele Simongini per “Il Tempo”
Foto di Umberto Pizzi da Zagarolo
Dagospia 27 Novembre 2006
«Come scenografo posso creare qualsiasi cosa ed è tutto quello che voglio».
Ha uno sguardo felice e compiuto
Dante Ferretti mentre pronuncia queste parole, circondato da amici ed ammiratori, accorsi in massa a contemplare i bozzetti delle sue scenografie più importanti, presentati nella mostra allestita fino al 30 marzo allo Studio Angeletti di Roma.
È un omaggio opportuno e più che meritato ad
uno scenografo che tutto il mondo ci invidia (recentemente il «Financial Times» gli ha dedicato due pagine) e che sembra veramente impersonare tutta la creatività italiana al più alto livello e soprattutto la nostra capacità di dare immagine solida e corposa anche ai sogni più evanescenti e indefiniti.
Il folgorante percorso artistico di Ferretti è stato
coronato a livello internazionale dal Premio Oscar 2005 per la migliore scenografia («The Aviator» di Martin Scorsese) ma i suoi inizi, dopo gli studi all’Accademia di Belle Arti di Roma, sono legati a un grande regista italiano come Pier Paolo Pasolini. «Ho imparato molto da lui - racconta Ferretti - era un regista diverso dagli altri, pieno di poesia e costantemente ispirato dalle arti figurative».
Molto stretto è stato il suo rapporto con Federico Fellini, di cui ha realizzato le scenografie per «E la nave va» e «La città delle donne». E veramente Ferretti ha saputo materializzare i sogni del geniale regista in modo impareggiabile dopo aver capito che una particolare cifra onirica era l’essenza della creatività felliniana. «Del resto - precisa il grande scenografo, che attualmente sta lavorando a Londra per un musical di Tim Burton - Federico era ossessionato dai sogni, ogni mattina mi chiedeva che cosa avessi sognato e io francamente non sapevo che rispondere. Ad un certo punto capii che era meglio inventarsi qualche sogno da raccontargli. Lo feci regolarmente ma era un gioco tra noi perchè lui sapeva benissimo che era uno scherzo».
Poi è arrivata l’ascesa di Ferretti nell’empireo di Hollywood accanto a registi del calibro di Martin Scorsese e Brian De Palma, solo per ricordarne alcuni tra i maggiori. Scorsese è un suo grande amico ma ancora oggi Ferretti si emoziona ogni volta che lo incontra, così come avviene con altre star del firmamento cinematografico.
Con somma modestia ama raccontare della bellissima figura che gli ha fatto fare al Festival del Cinema di Roma la meravigliosa («e altissima», precisa Ferretti) Nicole Kidman quando lo ha abbracciato per salutarlo in un ascensore strapieno di gente.
«Mi hanno guardato tutti con invidia - dice lo scenografo - e mi sono sentito importante». Martin Scorsese, per cui Ferretti ha tra l’altro realizzato le scenografie dell’«Età dell’innocenza», «Gangs of New York», «The Aviator», nella sua bella testimonianza per il catalogo della mostra allo Studio Angeletti, ci fa capire bene le doti della sua creatività: «In ogni pellicola realizzata insieme, Dante mi ha regalato qualcosa di inestimabile, un universo vivente, in cui ogni stanza sembra essere stata attraversata infinite volte, ogni finestra aperta e richiusa, e ogni oggetto usato e ricordato. Eppure questi universi possiedono, al tempo stesso, profondità, densità, e splendore assoluto. È difficile immaginare cosa avrei fatto senza di lui».
Queste parole sono anche il miglior commento ai trenta bozzetti esposti a Roma: in ognuno di essi il prodigioso artificio dell’intervento scenografico si trasfigura in una nuova realtà, grandiosa eppur carica di una sua tangibile quotidianità che non la disperde nelle nebbie dell’utopia.
Tra i più belli spiccano quelli per «The Aviator», in cui le scenografie diventano il correlativo oggettivo dei sogni smisurati di Howard Hughes e quelli per «E la nave va», con quella corazzata spettrale ed incombente in cui si materializza un incubo minaccioso e tangibile. In particolare Ferretti padroneggia magistralmente l’uso del carboncino attraverso il quale mette in scena la lotta fra luce ed ombra, con toni non di rado cupi ed apocalittici.
Lo si vede perfettamente anche nei bozzetti per «Titus» nei quali emerge una Roma inquietante e grandiosa, figlia delle «Carceri» piranesiane. Più lirici sono invece alcuni bozzetti per «Kundun», a proposito dei quali Ferretti ama ricordare l’intera giornata trascorsa con il Dalai Lama. Ecco, in tutte le scenografie di Ferretti c’è un’aspirazione al sublime che si concretizza in spazi infiniti ma anche la magia di render vera una finzione.
Dagospia 27 Novembre 2006
Non condivido le tue idee, ma darei la vita per vederti sperculeggiare quando le esporrai.